È triste ascoltare Renzi quando invita a non votare per un referendum proposto dallo stesso Pd nei consigli regionali. Rischia di dimenticare “l’età dell’innocenza” del giovane leader che chiamava alla partecipazione i cittadini contro l’establishment

Nel romanzo postumo Petrolio, Pasolini spiega gli eccessi del potere in Italia. Ancora una volta la sua profezia si rivela attuale.

L’ex-ministra Guidi non poteva garantire l’autonomia del mandato, anche ammessa la buona fede, a causa delle relazioni private e professionali. Era chiaro già al momento della nomina, non ci volevano i magistrati per capirlo. Il suo nome fu rivendicato da Berlusconi per un’intesa politica che non riguardava solo le riforme istituzionali e che prosegue nel sostegno di Verdini. Come se non bastasse, la ministra era inadeguata al compito, come sanno perfino gli ambienti confindustriali. È mancata l’iniziativa strategica della politica industriale, l’unica in grado di alimentare la crescita oltre i vincoli macroeconomici, come dimostra Obama. L’immagine “donna giovane” è stata utilizzata per coprire conflitti di interesse, manovre politiche e inefficienza di governo. Non si doveva “cambiare verso” nella classe dirigente?

Nell’intercettazione la ministra usa un gergo molto diffuso: “mettere dentro” alla legge di stabilità quell’emendamento di Tempa Rossa, per blindarlo con il voto di fiducia, costringendo il Parlamento ad approvare la norma che solo qualche settimana prima la Commissione Ambiente aveva rigettato. Non ho alcun dubbio sull’onestà del mio governo, ma preoccupa l’abuso della legislazione d’emergenza. Nei paesi civili le regole per la realizzazione delle infrastrutture energetiche sono decise in un débat public e non si ricorre al blitz parlamentare. A forza di “mettere dentro” la legge diventa un ammasso di norme confuse, eterogenee, e contraddittorie. Non serve a fare presto, agevola le lobbies, aumenta la burocrazia e rallenta l’attuazione di opere ben progettate.

È la prima volta in Italia che si va al referendum su richiesta delle Regioni. Non si è sottolineata la novità nonché l’utilità dell’iniziativa, che ha già costretto il governo alla retromarcia. Ha dovuto infatti ripristinare il divieto di trivellazione nei pressi delle coste e cancellare le pessime procedure dello Sblocca Italia che allentavano i controlli ambientali delle Regioni.

Il 17 aprile si vota per chiudere gli impianti alla fine delle relative concessioni stipulate in seguito a pubbliche gare che avevano già definito i tempi di ammortamento e di ripristino ambientale. Al contrario, prolungare per legge le concessioni è vietato dalle norme europee perché limita la concorrenza e crea rendite di posizione a favore di operatori che avrebbero ampia discrezionalità nei tempi di chiusura dei pozzi. È infondato il ricatto occupazionale perché gli imprenditori firmando la concessione trent’anni fa si erano già impegnati a chiudere fra 5-10 anni e quindi a farsi carico dei lavoratori.

Come spesso accade nei referendum, oltre gli aspetti tecnici si confrontano due indirizzi politici. Il governo ha abbassato a colpi di voti di fiducia l’asticella dei controlli ambientali, centralizzando la politica petrolifera. Votare Sì è un riconoscimento al movimento referendario che ha già salvato la qualità dei nostri mari e sollecita il Paese a fare di più e meglio con le energie rinnovabili.

È triste ascoltare Renzi quando invita a non votare per un referendum proposto dallo stesso Pd nei consigli regionali. Rischia di dimenticare “l’età dell’innocenza” del giovane leader che chiamava alla partecipazione i cittadini contro l’establishment.

*Senatore Pd


 

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