Si conclude Ungass 2016, sessione speciale dell'Assemblea generale Onu dedicata alle droghe. Molti Paesi, specie gli ex campioni della tolleranza zero, hanno chiesto di cambiare politiche. Cina, Russia, Iran fermano il cambiamento

Il governo del neopremier canadese Justin Trudeau ha annunciato che il prossimo anno introdurrà una legge che renderà legale la vendita di marijuana. L’annuncio viene a un giorno dalla chiusura dell’Assemblea speciale dell’Onu sulle droghe (Ungass2016). Il Canada non è l’Uruguay, ma la decima potenza economica mondiale e un vicino degli Usa, dove pue le cose stanno cambiando uno Stato alla volta. La ministra della Salute Jane Philpott che ha fatto l’annuncio si è detta comunque impegnata a tenere la marijuana «fuori dalla portata dei bambini e i profitti lontani dalle mani dei criminali». La legge è ancora in fase di scrittura e la marijuana nel frattempo rimane illegale – l’uso medico è già consentito.

Il primo ministro Justin Trudeau aveva promesso la legalizzazione durante la sua campagna vittoriosa dello scorso anno e la legalizzazione, qui come altrove, è anche vista come uno strumento per alleggerire il peso della lotta alla droga sul sistema penale e penitenziario: Obama si sta impegnando per ridurre le pene comminate ai consumatori che non si sono macchiati di reati violenti.

La guerra alla droga è stata un disastro dal punto di vista degli effetti sui sistemi penali, ha generato e rafforzato alcuni grandi cartelli della droga – il caso della violenza dei narcos in Messico è clamoroso – e non ha ridotto in nessun modo il consumo di sostanze stupefacenti nel mondo. È da questo dato che in questi giorni si sarebbe dovuti partire alla sessione speciale dell’Assemblea Onu. In parte è stato così e in parte no.


 

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Se da un lato c’è una coalizione di Paesi, tra quelli che con più foga hanno combattuto la guerra che in questi anni ha cambiato le leggi nazionali e chiede di adotare un nuovo approccio a livello planetario – una gamma di latinoamericani, a partire da Colombia, Messico e Guatemala dove la guerra ha fatto morti, generato conflitti politici e poi, un po’ meno convinti, gli Stati Uniti- dall’altra c’è la coalizione di quelli che non vogliono cambiare nulla e continuano a pensare che il carcere, la rieducazione coatta e persino la pena di morte siano le strade giuste per far smettere la gente di drogarsi. Tra i membri di questa coalizione probizionista ci sono i governi russo, cinese e iraniano. Come spesso accade nelle assemblee Onu, il piccolo paradosso, non determinante è che la sessione ha come presidente e vice un egiziano, un iraniano, un afghano.
Quel che è certo è che la fase del consenso globale dei governi sulla necessità di combattere una guerra contro la droga è finita nonostante non si sia trovato accordo sul cambiare la strategia globale. Il comunicato finale è insomma una delusione. A New York i canadesi, i colombiani e i boliviani hanno chiesto di cambiare i trattati che regolano l’argomento – che sono tre – in maniera sostanziale, non è successo nulla. Vedremo se almeno nelle dichiarazioni finali verrà inserito fatto riferimento a non usare la pena di morte come deterrente come avviene in alcuni Paesi: il rapporto Amnesty 2016 sulla pena di morte ci ricorda infatti che qui e la, ad esempio in Iran, che ha un problema serio, come il vicino Afghanistan, con la coltivazione dell’oppio, le persone mandate a morte per consumo e spaccio siano ancora molte. Anche per queste ragioni Paesi come l’Uruguay, uno dei primi legalizzatori della marijuana a scopo ricreativo, ha parlato di «risultato deludente».

Alla Ungass è anche arrivata una lettera appello firmata tra gli altri da diversi senatori americani (ce n’è uno famoso, Bernie Sanders), il miliardario e finanziere Warren Buffet, Sting, ma anche l’ex presidente messicano di centrodestra Zedillo si chiedeva di cambiare. Non è andata così, i processi sono lenti, ma è importante che l’inutile consenso sulla guerra alla droga sia andato in pezzi. Gli stessi Stati Uniti, un tempo campioni della tolleranza zero e determinanti nello scrivere i trattati proibizionisti in vigore, oggi sono ritenuti violatori dei trattati internazionali a causa delle leggi permissive adottate in alcuni Stati come Colorado, Oregoe e Washington.

Il sito di Non me la spacci giusta, la campagna italiana per la legalizzazione