La chiama "un'icona americana", nel suo annuncio. La pistola che ha ucciso Trayvon Martin, ragazzino uscito di casa per comprarsi una bibita gassata nell'intervallo della partita di basket che guardava in Tv, viene venduta dal suo assassino, George Zimmerman.

La chiama “un’icona americana”, nel suo annuncio. La pistola che ha ucciso Trayvon Martin, ragazzino uscito di casa per comprarsi una bibita gassata nell’intervallo della partita di basket che guardava in Tv, viene venduta dal suo assassino, George Zimmerman. Nell’annuncio, Zimmerman spiega che vende la pistola per raccogliere fondi contro la retorica anti armi di Hillary Clinton. Bene, sappiamo due cose: che Zimmerman è repubblicano come le leggi sulla legittima difesa che hanno contribuito a salvarlo dalla galera nonostante abbia ucciso un ragazzino disarmato; Zimmerman non si vergogna di quel che ha fatto al punto di cercare di guadagnare soldi su quell’omicidio.
La famiglia di Trayvon non commenta e risponde: la nostra fondazione, nell’ano delle elezioni, cercherà di fare l possibile perché si parli del tema della violenza da armi da fuoco. Una lezione di dignità e civiltà.

Come funzionano le leggi che hanno salvato Zimmerman dal carcere e cosa è successo la notte che Trayvon Martin è morto? Ne avevamo parlato su Left in edicola questa settimana parlando di legittima difesa. Ecco l’articolo.

La sera del 26 febbraio 2012 a Sanford, un sobborgo di Orlando, Florida, pioveva. Trayvon Martin stava guardando la partita di basket in televisione in casa della fidanzata del padre. Nell’intervallo decise di andarsi a comprare dei cioccolatini e del tè freddo al 7-Eleven, a un isolato dalla casa dove era ospite. Trayvon aveva 17 anni e indossava una felpa con il cappuccio e, siccome pioveva, il cappuccio era alzato. La casa dalla quale il ragazzo afroamericano usciva è in una gated community, quello che qui chiameremmo un consorzio, dove negli ultimi anni c’erano stati diversi furti nelle abitazioni.
La sera di quel 26 febbraio George Zimmerman, un giovane ossessionato dalla sicurezza che avrebbe voluto entrare in polizia, si aggirava per le strade di Sanford in auto. Zimmerman era il coordinatore del Neighborhood watch, i vigilanti volontari del quartiere, e prende molto, troppo sul serio il suo ruolo. Il 999, il numero delle emergenze, riceveva sue telefonate di continuo, molto spesso le sue segnalazioni riguardavano persone afroamericane che, evidentemente, giudicava sospette in quanto tali. «È di nuovo quello dei negri» si saranno spesso ripetuti al commissariato i poliziotti di turno.
A vedere un ragazzo nero con il cappuccio sugli occhi, per giunta di sera, Zimmerman si insospettì e cominciò a seguirlo in auto. Trayvon si accorse che qualcuno gli andava dietro e lo disse alla ragazza, con la quale stava parlando al cellulare. Il resto è storia tragica: il ragazzo probabilmente si avvicinò all’auto di Zimmerman e gli chiese cosa diavolo volesse da lui. I due litigarono e, forse, si picchiarono. L’unica certezza che abbiamo è che qualche minuto dopo Trayvon Martin era morto, ucciso da Zimmerman. Nei mesi abbiamo ascoltato versioni diverse da parte di testimoni: Trayvon avrebbe aggredito Zimmerman e lo avrebbe picchiato, oppure no. L’altra cosa sicura è che il vigilante volontario ossessionato dai “negri” non è finito in carcere. Anzi: se non fosse stato per una campagna furibonda e la tensione con la comunità afroamericana, se Obama non avesse detto «Se avessi avuto un figlio maschio somiglierebbe a Trayvon», forse non ci sarebbe nemmeno stato un processo.
Il motivo per cui Zimmerman non è finito in carcere è l’interpretazione molto vasta di cosa si debba intendere per legittima difesa in Florida, primo Stato ad aver approvato nel 2005 una legge del tipo Stand your ground, evoluzione dell’antico principio giuridico americano della “Castle doctrine”, la dottrina del castello. Per sommi capi, il castello è la regola per cui il cittadino ha diritto a sparare e uccidere a chiunque entri in casa sua. L’evoluzione dello Stand your ground è un passo in più, una super legittima difesa: se mi ritengo fisicamente minacciato o in pericolo, ho diritto a non scappare, non devo fare un passo indietro, ma, appunto, rimanere al mio posto. Ed eventualmente sparare.
Ecco, Zimmerman, se la sua versione dei fatti – e quella ricostruita dai giudici – è corretta, ha sparato perché aggredito dal ragazzino di 17 anni armato di una lattina di tè freddo e di una bustina di zuccherini al cioccolato. E uccidendolo non ha commesso un reato. La storia di Trayvon Martin è paradigmatica e incredibile, perché l’eccesso di legittima difesa è il frutto di una provocazione dell’uccisore nei confronti della vittima. Io ti spavento a morte, tu reagisci, io ti uccido e poi non ho commesso un reato.
C’è qualcosa di strano? No, la paura e l’idea che dai ladri e dai pericoli ci si difenda con una pistola nella fondina è figlia di un certo modo di intendere la convivenza. Ma soprattutto è frutto dei soldi spesi dalla Nra, la National Rifle Association, che ha investito milioni per far scrivere a un gruppo di giuristi un modello di legge e, poi, farlo approvare dalle assemblee di 31 Stati.

La storia di Trayvon Martin è paradigmatica e incredibile, perché l’eccesso di legittima difesa è il frutto di una provocazione dell’uccisore nei confronti della vittima.


Naturalmente, come nel caso di Trayvon, i risultati di queste norme non aumentato la sicurezza di nessuno: il Tampa Bay Times ha raccolto i dati relativi a tutti i processi in cui la legge è stata invocata per difendere l’uccisore o il feritore. I casi sono 200 e nel 73% dei casi in cui il morto era un nero, la persona che sparava non è stato giudicato colpevole. Quando il morto è un bianco, i non colpevoli sono il 59%. Un morto nero, insomma, pesa un pochino meno.
Diversi dati e ricerche illuminano un altro aspetto fondamentale che riguarda proprio il tema di cui ci occupiamo su questo numero di Left: le ricerche sui casi in tribunale indicano che nel 67% dei casi in cui la persona assalita ha sparato, avrebbe potuto semplicemente non tenere il punto e fare un passo indietro. Nel 68% dei casi la persona uccisa non aveva in mano armi da fuoco né da taglio – come del resto Trayvon Martin. I dati raccolti dal Wall Street Journal indicano inoltre che gli “omicidi giustificati” da leggi come quella della Florida sono aumentatidell’85% tra 2000 e 2010, mentre diminuivano gli omicidi nel complesso.
Certo, verrà da pensare, dopo il caso Trayvon Martin e l’assoluzione di Zimmerman si saranno fatti passi in avanti, o meglio indietro, per ridimensionare la portata della legge. Niente affatto: la Corte Suprema della Florida aveva individuato dei problemi relativi alla procedibilità d’ufficio di questi omicidi, che spesso vengono archiviati senza nemmeno un processo. Lo scorso febbraio le assembleee legislative dello Stato hanno votato delle modifiche che non raccolgono le indicazioni della Corte ma, anzi, rendono più complicato per lo Stato procedere contro chi spara e poi si richiama alla Stand your ground per evitare di finire in carcere. La lobby delle armi, sebbene sia un poco meno popolare tra gli americani, è ancora molto forte nelle assemblee legislative. I Trayvon Martin che muoiono ogni anno sono incidenti di percorso delle leggi che spaccia per buone agli americani.

Questo articolo lo trovi sul n. 19 di Left in edicola dal 7 maggio

 

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