Il governo prima politicizza il referendum costituzionale, poi chiede ai magistrati di tacere. Intanto una parte della politica si sente sotto assedio

I rapporti tra politica e magistratura ormai da alcuni decenni sono caratterizzati da “alti” e “bassi” impressionanti. Non saprei dire se tutto ciò sia inevitabile, anche se osservo che, in questa esperienza senatoriale, quando si parla di giustizia in una commissione o nell’aula del Senato, praticamente tutti si sentono in dovere di intervenire e dire la loro. E questo è un bene. è il segno di quanto sia profondamente sentita la necessità di discutere di bene comune, di legalità e di correttezza istituzionale. Ma se poi si passa a una valutazione di quanto viene detto, è facile che si rizzino i capelli in testa dalle tante assurdità e alle volte vere e proprie bestialità che vengono sostenute. In questo periodo c’è una vasta gamma di esemplificazioni, dalla cosidetta riforma costituzionale alle nuove norme proposte in tema di processo penale, intercettazioni e prescrizione. Emblematico, poi, politicamente e socialmente, è ciò che si osserva tutt’attorno. Prendiamo per esempio il caso del prossimo referendum d’autunno.

Già costituirebbe grave anomalia giuridica e istituzionale il fatto di un governo, un qualsiasi governo, che propugnasse una profonda riforma costituzionale per modificare in radice
competenze, composizione e limiti del potere legislativo. E soprattutto che sostenesse a spada tratta le ragioni della modifica, reprimendo il dissenso e non curandosi dei “pastrocchi” tecnici. E ancor più aggirando la lettera e lo spirito della norma costituzionale. Che chiedesse un inutile referendum a conferma, referendum invece previsto a tutela dei contrari. E per di più prefigurando su una riforma costituzionale un plebiscito pro o contro il governo, così piegando la Costituzione a interessi che per definizione sarebbero di parte (quand’anche maggioritaria). Su tutto ciò negli ultimi giorni si è innescata una polemica su chi possa o non possa schierarsi contro questa assurda pretesa di referendum “governativo”. Nel tentativo di mettere il bavaglio a una categoria di giuristi, i magistrati, che non potrebbero – così sostiene anche il “laico” vicepresidente del Csm – partecipare a dibattiti politicizzati. Ora, a parte il fatto che la decisione del capo del governo di politicizzare a proprio favore un referendum costituzionale costituisce un’aberrazione in sé, si rischierebbe in un colpo solo di martoriare tutta una serie di principi costituzionali: dalla libertà di pensiero e di espressione alla sovranità della Costituzione di fronte a qualsiasi potere dello Stato. Per buona sorte la Costituzione rimane, mentre sono i governi, tutti i governi, quelli destinati a passare. E se anche in questa occasione si è arrivati al calor bianco nel rapporto tra politica e magistratura, tanto da coinvolgere il ministro della Giustizia e il presidente della Repubblica, significa che la tensione rischia di arrivare alle stelle. Non è di certo casuale che ci si arrivi mentre in tutta Italia sembra di assistere a una riedizione di Mani pulite.

E mentre quindi la classe politica, anzi una parte della classe politica, si sente nuovamente sotto assedio. Io penso che, per tutti e sempre, valga il famoso broccardo “Male non fare, paura non avere”. Certo, mi fa strano che nei casi di imputazione e arresti nei confronti di un politico, siano dei politici stessi a dire di voler aspettare l’esito delle indagini e del processo. Fatto salvo il sacrosanto anche se banale ricorso al principio di non colpevolezza, mi verrebbe da chiedere: dove sono finite l’autonomia e la dignità della politica? E non esistono criteri e valutazioni diversi e indipendenti rispetto a quelli giudiziari-processuali? Non è in grado la politica di capire autonomamente che determinati comportamenti sono socialmente e moralmente scorretti al di là di ogni giudizio della magistratura? Con la consequenziale necessità di trarne le debite conseguenze! Se si ragionasse in quest’ottica forse anche la crescente disillusione dei cittadini nei confronti dei politici segnerebbe un’inversione di tendenza.