Da Pannella a Matteo Renzi, passando per Berlusconi e Grillo. La politica si appropria dell’antipolitica e la trasforma in un’arma per organizzare il consenso. Impoverendo così la democrazia

La democrazia rappresentativa ha bisogno di partiti perché ha bisogno di canali per la selezione della classe politica e perché ha bisogno di poter controllare i rappresentanti eletti con mandato libero. Se i partiti sono esclusive congreghe di eletti (partiti cartello) o movimenti destrutturati (partiti anti-partito) i cittadini rischiano evidentemente di non avere più una voce tanto forte da farsi sentire dentro le istituzioni mentre i movimenti rischiano di non riuscire a garantire alcun controllo sui loro rappresentanti. L’Italia si trova a soffrire entrambi questi problemi che il Pd e il Movimento 5 stelle ben personificano: tra la Scilla di un partito cartello e istituzionale e la Cariddi di un movimento che raccoglie consensi elettorali ma non riesce a controllare con regole condivise e certe i propri eletti. Nonostante le differenze, Scilla e Cariddi hanno qualche cosa di simile – sono il frutto maturo dell’ideologia dell’antipolitica e dell’antipartito. Sono l’esito della lunga stagione di propaganda antipolitica che dagli anni Novanta sta cambiando letteralmente non solo il panorama partito ma anche l’abito del ragionamento pubblico. Matteo Renzi e Luigi Di Maio (o Beppe Grillo) non sono in questo molto distanti, e sfidano la barca della politica con la stessa minacciosa resistenza delle due sponde omeriche.
La propaganda di Renzi per la revisione della Costituzione poggia su quello che sono gli argomenti principe dell’antipolitica: i costi dei politici da abbattere (con questo argomento si milita contro il Senato della Repubblica) e le aggregazioni o le mediazioni da scongiurare (la fine dell’inciucio). Due argomenti che sono stati per anni nell’agenda di Marco Pannella, il più grande degli ispiratori dell’antipolitica. I costi della politica che pesano sulle tasche dei contribuenti; e maggioranze che si devono formare non in Parlamento ma la sera in cui le urne chiudono. Pannella ha sempre combattuto per questa battaglia, come per quella dell’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, un obiettivo per il quale promosse campagne politiche e referendarie e che affiancò all’altro tema: l’attacco ai partiti identitari e ideologici e quindi al consociativismo che da essi emanava – l’attacco a tutte quelle forme organizzative e aggregative (anche i sindacati) che erano non semplicemente associazioni a tema singolo (per risolvere questo o quel problema) ma associazioni “pesanti” che univano intorno a progetti ideali e ideologici ed erano poco malleabili alla scelta elettorale libera o “laica”. Liberare la politica dai partiti – questo il progetto avviato da Pannella, preseguito dalla prima Forza Italia e poi dal M5s e ora anche dal Pd di Renzi. Quella che chiamiamo abitualmente antipolitica è il tessuto connettivo che unifica oggi Renzi e Grillo (o Di Maio), molto più simili di quanto sia loro conveniente far credere. Per entrambi la società politica, necessaria per risolvere problemi che i privati non possono da soli risolvere, deve pesare il meno possibile, costare meno possibile, essere visibile il meno possibile.
Ricordiamo come è nato il Movimento 5 Stelle – sulla scia dei Vaffa day, i raduni di gente intorno ai palchi di Beppe Grillo per gridare il disgusto verso i partiti e per rivendicare una palingenesi e purificazione che solo chi stava fuori dai giochi poteva realizzare. Il Movimento è poi cresciuto e ha deciso di partecipare alle consultazione elettorali, ovvero di entrare nelle stanze piccole e grandi dei bottoni.

Questo articolo continua sul numero 22 di Left in edicola dal 28 maggio

 

SOMMARIO ACQUISTA