Che senso ha svendere le carceri storiche come Poggioreale, San Vittore e Regina Coeli? Stando alla dichiarazione del ministro della Giustizia Andrea Orlando l'intenzione del governo sarebbe nobilissima: «C'è bisogno urgente», dice il ministro, «di un modello di carcere diverso, che esca dall'attuale modello 'passivizzante', in cui stai in branda e non fai nulla in attesa che passi il tempo della pena». Bene, bravo. Non si può non esser d'accordo con Orlando: le attuali carceri sono «il presupposto giusto per la futura recidiva, mentre nei Paesi dove il carcere è studio, lavoro, sport la recidiva cala». Esatto. Su Left abbiamo più volte raccontato esempi di carceri all'avanguardia, di Paesi dove far scontare la pena anche per il più odioso dei reati non ha nulla della vendetta. Ma perché la risposta dovrebbe esser vendere le enormi strutture di Poggioreale, San Vittore, Regina Coeli? In che modo vendere queste grandi e centrali strutture pubbliche, e vendere attraverso Cassa depositi e prestiti dovrebbe avvicinarci alla Svezia - per dire? Anche il dem Luigi Manconi, certo non critico con il governo, dice che forse l'idea non è proprio così lineare, né giusta: «Le condizioni sturtturali di quelle strutture», dice il senatore che in memoria di Pannella ha presentato un ddl per modificare la procedura di richiesta dell'amnistia e dell'indulto, «sono pessime, ma penso che la soluzione debba essere una profonda opera di risanamento, ristrutturazione e manutenzione. Spostargli causerebbe gravi difficoltà per chi deve raggiungerli: familiari, avvocati, personale, associazioni…». Non serve dunque andare a cercare tra gli oppositori al governo, né scomodare i Radicali veri e propri per ascoltare delle critiche. Ma è nelle parole di Marco Cappato (che per il Radicali è candidato sindaco a Milano, quindi coinvolto per San Vittore) che troviamo il giusto campanello d'allarme: «La proposta del ministro Orlando», dice Cappato, «sembra più rivolta alla speculazione immobiliare che non a rendere vivibili le carceri». Dovremmo citare pure la forzista Renata Polverini che ricorda come su queste strutture spesso siano state comunque, recentemente, investite importanti risorse. Ma non è neanche quello il punto. Non solo. San Vittore è un carcere dal 1879. Regina Coeli è un convento del 1600 e carcere dal 1881. Poggioreale, il più affollato, è del 1914. Che siano strutture non più adeguate, è evidente. Ma i centri delle nostre città - pur volendo ignorare le ragioni di chi nota l'aggravio logistico per familiari e avvocati nel caso di nuove carceri lontane dall'abitato - siamo sicuri abbiano bisogno di altre "valorizzazioni immobiliari"? Il centro di Roma ha bisogno di allontanare altri ultimi - e altri lavoratori - per accogliere altri turisti e altri immobili di lusso, anche accompagnati da una biblioteca, magari un nido, un modernissimo coworking? E il problema delle carceri, soprattutto, siamo proprio sicuri si risolva costruendone di nuove? Cosa ne è dei buoni propositi di affrontare l'urgenza di chi - e sono i più - è in carcere in attesa di giudizio? E dell'aumento delle pene alternative? Cosa ne è?

Che senso ha svendere le carceri storiche come Poggioreale, San Vittore e Regina Coeli? Stando alla dichiarazione del ministro della Giustizia Andrea Orlando l’intenzione del governo sarebbe nobilissima: «C’è bisogno urgente», dice il ministro, «di un modello di carcere diverso, che esca dall’attuale modello ‘passivizzante’, in cui stai in branda e non fai nulla in attesa che passi il tempo della pena». Bene, bravo.

Non si può non esser d’accordo con Orlando: le attuali carceri sono «il presupposto giusto per la futura recidiva, mentre nei Paesi dove il carcere è studio, lavoro, sport la recidiva cala». Esatto. Su Left abbiamo più volte raccontato esempi di carceri all’avanguardia, di Paesi dove far scontare la pena anche per il più odioso dei reati non ha nulla della vendetta. Ma perché la risposta dovrebbe esser vendere le enormi strutture di Poggioreale, San Vittore, Regina Coeli? In che modo vendere queste grandi e centrali strutture pubbliche, e vendere attraverso Cassa depositi e prestiti dovrebbe avvicinarci alla Svezia – per dire?

Anche il dem Luigi Manconi, certo non critico con il governo, dice che forse l’idea non è proprio così lineare, né giusta: «Le condizioni sturtturali di quelle strutture», dice il senatore che in memoria di Pannella ha presentato un ddl per modificare la procedura di richiesta dell’amnistia e dell’indulto, «sono pessime, ma penso che la soluzione debba essere una profonda opera di risanamento, ristrutturazione e manutenzione. Spostargli causerebbe gravi difficoltà per chi deve raggiungerli: familiari, avvocati, personale, associazioni…».

Non serve dunque andare a cercare tra gli oppositori al governo, né scomodare i Radicali veri e propri per ascoltare delle critiche. Ma è nelle parole di Marco Cappato (che per il Radicali è candidato sindaco a Milano, quindi coinvolto per San Vittore) che troviamo il giusto campanello d’allarme: «La proposta del ministro Orlando», dice Cappato, «sembra più rivolta alla speculazione immobiliare che non a rendere vivibili le carceri».

Dovremmo citare pure la forzista Renata Polverini che ricorda come su queste strutture spesso siano state comunque, recentemente, investite importanti risorse. Ma non è neanche quello il punto. Non solo. San Vittore è un carcere dal 1879. Regina Coeli è un convento del 1600 e carcere dal 1881. Poggioreale, il più affollato, è del 1914. Che siano strutture non più adeguate, è evidente. Ma i centri delle nostre città – pur volendo ignorare le ragioni di chi nota l’aggravio logistico per familiari e avvocati nel caso di nuove carceri lontane dall’abitato – siamo sicuri abbiano bisogno di altre “valorizzazioni immobiliari”? Il centro di Roma ha bisogno di allontanare altri ultimi – e altri lavoratori – per accogliere altri turisti e altri immobili di lusso, anche accompagnati da una biblioteca, magari un nido, un modernissimo coworking?

E il problema delle carceri, soprattutto, siamo proprio sicuri si risolva costruendone di nuove? Cosa ne è dei buoni propositi di affrontare l’urgenza di chi – e sono i più – è in carcere in attesa di giudizio? E dell’aumento delle pene alternative? Cosa ne è?