Il 2 giugno 1946 era una bella giornata e gli italiani si misero in fila per votare fin dalle prime ore della mattina. Alla fine vinse la Repubblica ma l'Italia ne uscì spaccata. Ecco la storia di quel referendum e di quella giornata

C’era un bel sole in tutta la penisola quella domenica 2 giugno 1946, prima giornata del referendum istituzionale tra monarchia e repubblica – si votava anche il lunedì, fino alle 12 -. Tutto si svolse con tranquillità, anche se le file cominciarono fin dalla mattina di domenica. Avevano fretta i cittadini italiani, correvano alle urne. Finalmente erano protagonisti, finalmente era giunta l’ora del suffragio universale. Per la prima volta infatti si recarono al voto tutte le donne. A dire il vero, era già accaduto qualche mese prima, il 10 marzo (qui), ma erano elezioni amministrative che riguardavano 436 comuni (nei cui consigli comunali vennero però elette 2000 donne).

Immaginatevi la soddisfazione, la felicità di quelle stesse madri e mogli a cui il regime fascista nei vent’anni precedenti aveva chiesto immani sacrifici: oltre all’“obbligo” di fare tanti figli “da donare al duce” (come racconta il bel libro di Piero Meldini Sposa e madre esemplare, Guaraldi), le donne italiane avevano donato le loro fedi a Mussolini. Chissà, forse quando andarono a sbarrare la croce sula scheda del referendum, il loro pensiero sarà andato a quelle cerimonie dell’“oro alla patria” – in cambio ricevettero fedi di ferro – necessario per armare il regime.
Il 2 giugno 1946 era anche l’anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi e chissà se anche questo non fosse un buon auspicio per la Repubblica. In quella stessa giornata del 2 giugno non c’era in ballo solo il referendum istituzionale, ma anche l’elezione dei rappresentanti dei partiti politici per l’Assemblea Costituente che sarebbe partita il 24 giugno 1946.
Dunque, una giornata tranquilla, con la particolarità che i bar erano chiusi per impedire disordini causati magari da ubriachi eccitati… Soltanto nella notte precedente c’era stato un episodio inquietante: il lancio di una bomba contro la tipografia milanese che stampava l’Unità e l’Avanti!.

Ma vediamo un po’ di cifre e i risultati: alla doppia tornata del 2 giugno avevano diritto al voto il 61% dei cittadini italiani (28.055.449). Si recarono alle urne in 24.947.187, una percentuale dell’89,1%. Lo storico Emilio Gentile sottolinea che quella partecipazione così alta nessuno se la sarebbe aspettata, dopo vent’anni di dittatura e lo stesso Piero Calamandrei gridò al miracolo. A favore della Repubblica si espressero in 12.717.923, per la monarchia 10.719.284, le schede nulle furono 1.498.136.

1946 REFERENDUM MONARCHIA - REPUBBLICA. GIUSEPPE ROMITA LEGGE I RISULTATI DEL VOTO.
1946 Referendum monarchia-repubblica: Giuseppe Romita legge i risultati del voto

Non fu un conteggio semplice. Nei giorni successivi alle votazioni si rincorsero, notizie, voci, articoli di giornali che davano ora la repubblica ora la monarchia per vincenti. Addirittura il 4 giugno il re Umberto I (il re di maggio, dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele III) era sicuro di aver vinto. Il 5 giugno alle ore 18 il ministro dell’Interno Giuseppe Romita proclama alla radio la vittoria della Repubblica. L’annuncio ufficiale, però avvenne il 18 giugno, dopo che la Corte di Cassazione aveva esaminato tutti i ricorsi presentati. Se volessimo esaminare il voto per regioni, ecco il quadro generale: la repubblica aveva vinto nel Trentino Alto Adige, nel Veneto, nel Piemonte, nella Lombardia, nell’Emilia-Romagna, nella Toscana, nell’Umbria e nelle Marche. La monarchia invece in tutte le altre regioni dal Lazio compreso fino alle isole. Il Nord e il Centro repubblicano e il Sud monarchico. Una divisione che sancisce anche quella storica vissuta durante la seconda guerra mondiale. A parte Napoli con le sue cinque giornate di rivolta ai nazifascisti, tutto il Mezzogiorno infatti era stato liberato dall’esercito alleato, non aveva quindi conosciuto né la ribellione dal basso con la guerra partigiana né tantomeno le violenze degli uomini della Repubblica di Salò.

Per tornare alle classifiche, il Comune più repubblicano, con il 91,2% dei sì, fu Ravenna, città dagli ideali mazziniani fortissimi, mentre le città più monarchiche furono Palermo e Messina con oltre l’80%.

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Veniamo alle elezioni per l’Assemblea Costituente. Erano 556 i seggi che furono così ripartiti: 207 alla Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi (35,2%), Il partito socialista di Pietro Nenni che allora si chiamava Psiup ne ottenne 115 (20,7%), il Partito Comunista di Palmiro Togliatti ebbe 104 costituenti con il 18,9%. Le altre forze  presenti alle urne erano l’Uomo qualunque del commediografo Guglielmo Giannini che ottenne 30 rappresentanti con il 5,3%, il Partito d’Azione che dopo poco si sarebbe sciolto (come anche l’Uomo qualunque) con l’1,5% e 7 eletti, il partito repubblicano con 23 eletti (4,4%), L’Unione democratica nazionale (6,8%) con 41 seggi e poi altre liste minori.
Il 2 giugno non provocò alcun “salto nel buio” come aveva sostenuto  la propaganda monarchica. Il buio gli italiani lo avevano lasciato alle spalle, nel vero senso della parola. Anche se la ricostruzione, non fu soltanto luce, ma si svolse tra molti coni d’ombra. Ma questa è un’altra storia.

 

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.