Neapolis, città nuova, l’avevano chiamata i greci. Forse quel nome contiene un destino e una profezia. Regni, eruzioni, migrazioni e un sindaco ribelle

Le statue dei re di Napoli stanno in ordine di apparizione storica sulla facciata di Palazzo Reale. L’ultimo, Vittorio Emanuele II re d’Italia, è stato il meno residente e il meno alfabetizzato.
Le loro stature sono di taglia superiore a quella naturale, come per parodia del loro titolo di Altezze Reali. Sono al contrario irreali.
Napoli non è rappresentata da questa specie di ingrandimenti, ma meglio identificata dalle sue miniature. La sua immagine più amata, dal residente e dal forestiero, è il presepe. In esso il popolo riconosce le sue molteplici fattezze, dall’acquaiolo allo zampognaro, con l’immancabile osteria, i suoi bevitori, il pozzo, il pastore meravigliato, il defecatore all’aria aperta, perché sempre si deve mescolare il sacro col profano. Lo stupefacente scultore del Cristo Velato (Giuseppe Sanmartino, 1720-1793) modellava statuine di presepe.
Di anno in anno si aggiungono figure prese dall’attualità, anche loro ammesse alla taglia minuscola di tutti gli altri. Al contrario, i carri allegorici del Carnevale di altre città innalzano a monumento le caricature delle celebrità del momento. Napoli si fa rappresentare da chi non ingombra, da chi svolge la sua opera in mezzo alla folla, senza esibire fasto. Lo ha dimostrato cinque anni fa con l’elezione di un magistrato, Luigi de Magistris, alla carica di sindaco. Contro i candidati dei partiti maggiori s’impose allora un uomo la cui competenza è la legge.

Questo articolo continua sul numero 23 di Left in edicola dal 4 giugno

 

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