In Aula il Ministro cita l’Ocse: «Le riforme valgono 6 punti di Pil». Le opposizioni: «Cifre di fantasia». E in effetti il governo un anno fa diceva altro

Non è una sparata. È la solita stima dell’Ocse: «Il punto vero», ha detto Boschi in aula, «è quanto crescerà in più il Pil del paese grazie alla stabilità e ai tempi certi di approvazione delle leggi e alla chiarezza su cosa fa lo Stato e cosa fanno le Regioni, limitando il contenzioso davanti alla Corte costituzionale e dando certezze alle imprese. Fmi, Ocse e Ue hanno sottolineato questi dati, l’Ocse ha detto che nei prossimi 10 anni avremo una crescita in più del Pil del 6 per cento grazie alle riforme politiche e istituzionali e alla stabilità». Il 6 per cento del Pil in dieci anni, lo 0,6 per cento ogni anno, dunque circa 10 miliardi di euro.

Non è una sparata, badate, ma una proiezione ottimistica. Cosa che capita spesso con le stime di Ocse e Fondo Monetario, che negli ultimi anni hanno stimato lasciando molto spazio alla creatività le varie riforme gradite dai mercati: non solo quelle istituzionali ma soprattutto quelle del lavoro, con più flessibilità, e le privatizzazioni e le liberalizzazioni. Previsioni ottimistiche anche perché nel caso delle riforme istituzionali non è affatto detto che il processo legislativo con la riforma Boschi si snellisca: chi legge Left sa bene che Monti ci mise 16 giorni per approvare la riforma Fornero, Berlusconi in 20 giorni fece il Lodo Alfano e Renzi a colpi di fiducia ha riformato il mercato del lavoro (e fatto le unioni civili, bontà sua).

Ma l’ottimismo di Boschi non è finito qui. Intervenendo alla Camera ha anche gonfiato un po’ i risparmi diretti della riforma. Incurante del fatto che (come invece gli ricordava l’interrogazione di Sinistra Italiana a cui ha risposto) proprio il suo ministero aveva girato alla commissione Affari costituzionali della Camera, il 19 novembre 2014, una stima più prudente. Il Ragioniere Generale dello Stato si era sentito in grado di certificare solo i i risparmi derivati dal taglio delle poltrone: 49 milioni valeva la riduzione del numero di Senatori (esclusi quelli di nomina quirinalizia) da 315 a 95: 40 di questi vengono dal taglio delle indennità, e 9 da altri risparmi legati alla riduzione, come le diarie.

Boschi però si è spinta più avanti e mentre il ministero dell’Economia diceva che era impossibile stimare il risparmio ottenuto dalla riogranizzazione delle province (ancora da fare) lei conta 320 milioni. Anche sul risparmio del Cnel aggiunge un milione, che aiuta a fare cifra tonda. Lei dice «20 milioni», la ragioneria diceva l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’economia e del lavoro «produrrebbe risparmi ulteriori pari a 8,7 milioni di euro, rispetto a quelli già previsti ed indicati nella relazione tecnica del disegno di legge di stabilità del 2015 pari a euro 10.019.227 annui».

Anche per il senatore forzista Lucio Malan le cifre non tornano rispetto a quello che lo stesso governo aveva certificato. E resta così valida la domanda degli ex dem D’Attorre e Galli e di Scotto, di Sinistra Italiana: come si arriva al miliardo di euro di cui parla Renzi, e come si arriva dai 60 milioni del ministero ai quasi 500 di Boschi? Sarà merito dell’avvicinarsi del referendum.