La Spagna torna al voto il 26 giugno e l'unica novità rispetto alle elezioni "inconcludenti" dello scorso dicembre è l'alleanza a sinistra tra Podemos e Izquierda unida. Su Left in edicola vi spieghiamo cosa può succedere

Madrid – Si leggeva sui cartelli, lo gridavano le persone. No nos representan, non ci rappresentano. Era lo slogan con cui in migliaia riempirono Puerta del Sol, il chilometro zero di Madrid, dando inizio a una protesta destinata a cambiare le regole del gioco della politica spagnola. Per settimane si susseguirono manifestazioni e assemblee per ridisegnare, dicevano gli indignados, una democrazia anchilosata. Ma nessuno aveva previsto che da quel movimento spontaneo sarebbe arrivato uno scossone così forte da far saltare il bipartitismo che per 40 anni aveva governato la Spagna. «È cambiato tutto. Avevamo un sistema politico totalmente corrotto e nessuno faceva niente. La gente scese in piazza, iniziò a costruire il potere popolare che oggi si vede riflesso in partiti come Podemos. Il sistema bipartitico è esploso», diceva Sofia, assistente sociale di 37 anni, mentre poche settimane fa tornava al chilometro zero di Madrid per celebrare i cinque anni dal 15M, quel 15 maggio 2011 in cui iniziarono le proteste.

Bisogna tornare lì, nelle ragioni di quella piazza, per capire che cosa è cambiato per dare a un partito nato solo due anni fa un posto così centrale. Oggi Podemos fa ombra ai socialisti del Psoe, la formazione che per più a lungo ha governato dal ritorno della democracia a oggi. Tanto che si parla di nuova Transizione, dopo quella che segnò la fine della dittatura franchista.

Podemos sarà, secondo i sondaggi, la seconda forza politica nelle elezioni del 26 giugno, sei mesi dopo l’inconcludente risultato del 20 dicembre, quando il crollo del bipartitismo ha impedito la formazione del governo in un Paese abituato a maggioranze assolute e patti di legislatura stabili, dove la necessità di coalizioni si vive come il rischio di “italianizzazione”. Se Sofia, come molti altri nella piazza, dice che il 15M non è Podemos e che Podemos non è il 15M, tutti riconoscono che la richiesta di rappresentatività di quel movimento si è cristallizzata a livello politico nella formazione guidata da Pablo Iglesias, nonostante la resistenza di una sua parte a passare dalle assemblee alle istituzioni.

«C’era una parte dell’elettorato che non si sentiva rappresentata dalle forze tradizionali. Credo che Podemos ha commesso molti errori ma sono stati capaci di dare un’organizzare a tutto questo», commenta il politologo Pepe Fernández Albertos, che spiega una parte del successo del partito viola con la prossimità: «L’enfasi sul fatto che i rappresentanti siano vicini, questo vincolo tra rappresentante e rappresentati. In un momento in cui si viveva la distanza totale tra decisori politici ed economici e quello che succedeva in strada, Podemos ha saputo interpretare questa esigenza».

«Quello che è cambiato è che ora abbiamo 69 deputati», diceva Enrique Soriano García, ingegnere in pensione che insieme al suo amico Paco è tornato lo scorso 15 maggio alla Puerta del Sol. Non solo per la ricorrenza ma anche per celebrare l’accordo siglato da Podemos e Izquierda unida (Iu), la coalizione della sinistra storica. «Quarant’anni fa eravamo dirigenti della Gioventù comunista e per 40 anni i comunisti non sono andati oltre il 10%. Era ora che ci fosse questo accordo. Da soli non potevamo trasformare niente. C’è bisogno di Podemos e di moltre altre persone, e tra queste c’è Alberto Garzón». L’immagine del segretario di Izquierda unida Garzón e di Pablo Iglesias insieme sul palco è la fotografia che marca la grande differenza tra le elezioni del 26 giugno e quelle di dicembre. Un’unione che per una parte dell’elettorato è il sogno dell’unità della sinistra e per un’altra l’escamotage di Podemos per avanzare nell’obiettivo dichiarato di superare i socialisti. In Spagna lo chiamano il “sorpasso”, usando la parola italiana, ricordando il tentativo di Berlinguer nelle elezioni del 1976 quando il Pci prese solo il 4% meno della Dc, e riecheggiando la campagna che agli inizi degli anni Novanta fece il leader di Iu Julio Anguita, sognando di strappare al Psoe l’egemonia della sinistra.

Il sorpasso questa volta sembra possibile. L’ultima conferma è arrivata pochi giorni fa dai dati del macrosondaggio del Centro di investigazione sociologica, l’istituto pubblico di indagine: il Pp è il primo partito con il 29,2% dei voti, l’asse Podemos-Iu è al secondo posto con il 25,6 e a seguire ci sono il Psoe al 21,2 e i centristi di Ciudadanos al 14,6.

 

Questo articolo continua sul numero 25 di Left in edicola dal 18 giugno

 

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