Un giovane arrestato durante un comizio pianificava di sparargli, il calo nei sondaggi, l'uscita di scena del manager della campagna presidenziale. Le cose proprio non vanno per il miliardario newyorchese

Per Donald Trump è un brutto periodo. La notizia di cronaca è quella relativa al giovane cittadino britannico fermato a un comizio mentre cercava di sfilare la pistola dalla fondina di un poliziotto con l’intento di sparare al candidato miliardario. Lo hanno preso e Trump non è mai stato davvero in pericolo, il 20enne Michael Steven Sandford pianificava – si fa per dire – di voler uccidere Trump da un anno e, finalmente, pensava di avere il piano perfetto: far finte di chiedere un autografo, sfilare la pistola e sparare. Non ne ha avuto nemmeno la lontana occasione, ma questo episodio è solo l’ultimo di una serie di incidenti minori. I comizi di Trump attirano proteste serie – musulmani, ispanici che alzano cartelli contro la sua xenofobia – e persone come Sandford e non finiscono mai in maniera completamente tranquilla. Non è un buon inizio per una campagna elettorale che solo ora diventa vera.
Michael Steven Sandford, arrestato durante un comizio di Trump (AP)
E quando il gioco si fa duro serve gente che sappia giocare. Per questo, dopo mesi di pressioni, mezzi passi avanti e poi indietro, ieri il candidato repubblicano ha finalmente licenziato il manager della sua campagna, Corey Lewandosky. Divenuto famoso per aver strattonato la reporter Michelle Fields che cercava di fare una domanda al suo capo – cosa che il manager di una campagna presidenziale proprio non fa – negli ambienti che sanno quel che succede all’interno degli staff presidenziali, l’ex braccio destro di Trump era noto per i suoi modi bruschi e per perdere continuamente le staffe con il personale. «Siamo una piccola campagna, abbiamo alle dipendenze meno di cento persone e il nostro capo lavora 20 ore al giorno…se vedo che la gente non fa lo stesso, certo posso perdere le staffe» ha detto Lewandosky alla Cnn in una intervista post-licenziamento.

Il vero problema di Trump, che aveva già imbarcato un consigliere repubblicano più esperto, è che Lewandosky non è in grado di giocare il gioco dei grandi: un conto è gestire le primarie repubblicane ed usare l’appeal mediatico del candidato per portare gente – tutto sommato poca e motivata – alle urne, altro è dover gestire una complicata macchina elettorale. Trump si è accorto che per giocare la partita vera servono professionisti navigati e li sta imbarcando. La necessità è quella di apparire più presidenziale, ma quel che ha portato al successo del candidato repubblicano è esattamente il suo essere fuori e sopra le righe. C’è una quadratura del cerchio?

Difficile a dirsi e a farsi, la natura di Trump è quella mostrata in questi mesi e forse è un po’ tardi per cambiare. Almeno a giudicare dal grafico prodotto da Philip Bump del Washington Post che segnala come il candidato in attesa di essere nominato dalla convention non goda di particolare sostegno: fa peggio di Bush nel 2004, di McCain nel 2008 e di Romney nel 2012. Gli ultimi due hanno perso e Trump non ha neppure avuto una spinta nel momento in cui è diventato il nominee, cosa invece capitata agli altri che per qualche settimana si sono molto avvicinati nei sondaggi a Obama. I numeri del miliardario texano, invece, non fanno che peggiorare.

C’è di più: non sono solo i sondaggi a essere pessimi, ma anche le donazioni. Qui sotto il tweet di Mark Murray della Nbc che segnala come Clinton stia stroncando Trump in termini di fondi impegnati nell’ultimo mese: in alto il confronto con il 2012 e quanto spendevano nello stesso mese Romnet e Obama, in basso c’è solo il blu di Clinton. Ventitré milioni a zero negli Stati che contano. Trump ha anche enormi problemi di raccolta fondi: i resoconti finanziari del mese indicano come il repubblicano abbia in cassa un milione e 400mila dollari contro i 41 milioni di Hillary Clinton. Un problema serio: Trump ha reso noto di voler lasciare al partito l’onere di organizzare il lavoro sul campo Stato per Stato. Di solito funziona al contrario: il partito si accoda e contribuisce al lavoro della campagna del candidato. I pochi soldi spesi in pubblicità Tv sono anche un segnale del fatto che le organizzazioni indipendenti che investono finanze nelle presidenziali – Americans for prosperity dell’ex cervello di Bush, Karl Rove, i miliardari fratelli Koch – non stanno puntando su Trump: prevedono una sconfitta e spenderanno per mantenere la maggioranza in Congresso. Un mese fa Trump era alla pari con Clinton, oggi i sondaggi assegnano alla ex first lady tra i 2 e i 12 punti di vantaggio. L’estate comincia male per Donald Trump.