Mariano Rajoy è il vincitore delle elezioni spagnole: con il 33% e qualche voto in più rispetto a dicembre, il suo partito popolare è l’unico ad essere cresciuto rispetto a sei mesi fa. Male Ciudadanos, male il Psoe e male l’alleanza tra Podemos e Izquierda Unida che non ha pagato in termini di consensi e neppure di eletti. Il quadro politico spagnolo non appare però più chiaro rispetto a tre giorni fa: c’è un vincitore e non c’è una maggioranza. La partita è complicata, come lo era sei mesi fa: Rajoy ha dichiarato che cercherà di formare un governo entro luglio chiedendo appoggio ad altri: «Mi piacerebbe governare con il sostegno sufficiente, se non lo avremo, ricordiamoci che abbiamo quello di otto milioni di spagnoli» ha detto il leader della destra moderata spagnola. Dalla sua Rajoy ha un fattore: la stanchezza degli spagnoli. I suoi tre avversari non hanno formato una coalizione prima del voto di domenica e non intendono farlo ora. Davvero avranno tutti il coraggio di far tornare la gente alle urne? A quel punto, il primo partito potrebbe fare campagna come l’unico “responsabile”. Il Psoe di Pedo Sanchez ha invece fatto sapere che non appoggerà una candidatura Rajoy né si asterrà nel caso questi si presenti alle Camere per chiedere un voto di fiducia. La chiusura e gli attacchi nei confronti di Podemos e Pablo Iglesias lasciano però intendere che i socialisti non sono neppure intenzionati a cercare di formare loro un governo. Mandando a dire «tocca a Rajoy l’iniziativa, decidere con chi parlare e di cosa», sperano forse in un qualche sbocco istituzionale tecnico all’italiana? Il rebus è complicato da Ciudadanos che ha spiegato che non appoggerà un governo in continuità o che abbia dentro forze nazionaliste (baschi e catalani di centrodestra). Con il veto del leader di Ciudadanos Rivera non resterebbe che un governo dei due partiti tradizionali. Per i due partiti tradizionali del bipolarismo imperfetto spagnolo, formare un governo assieme significherebbe aprire autostrade a destra e sinistra alle due formazioni nuove ed emerse ammaccate dal voto di ieri. Quanto alla sinistra, sia Podemos che Izquierda Unida hanno ribadito la volontà di rimanere alleati nonostante la perdita di un milione e passa di voti in sei mesi. L’esecutivo di Podemos ha commissionato studi demoscopici per cercare di capire meglio perché l’alleanza non ha funzionato e ha ribadito la propria contrarietà a un esecutivo di coalizione con Ciudadanos e Psoe a guida Sanchez. Il gruppo dirigente non pensa che il proprio No al tentativo del leader socialista fallito nei mesi scorsi sia alla base della sconfitta. Di certo la Brexit e le paure che ha ingenerato, ha contribuito al buon risultato del partito di Rajoy. E di certo la Brexit peserà nel dibattito politico spagnolo a venire: c’è un flusso costante di britannici che comprano case e passano le vacanze in Spagna: se la Gran Bretagna precipitasse in una crisi vera, sarebbero guai per l’industria turistica spagnola.

Mariano Rajoy è il vincitore delle elezioni spagnole: con il 33% e qualche voto in più rispetto a dicembre, il suo partito popolare è l’unico ad essere cresciuto rispetto a sei mesi fa. Male Ciudadanos, male il Psoe e male l’alleanza tra Podemos e Izquierda Unida che non ha pagato in termini di consensi e neppure di eletti.
Il quadro politico spagnolo non appare però più chiaro rispetto a tre giorni fa: c’è un vincitore e non c’è una maggioranza.

La partita è complicata, come lo era sei mesi fa: Rajoy ha dichiarato che cercherà di formare un governo entro luglio chiedendo appoggio ad altri: «Mi piacerebbe governare con il sostegno sufficiente, se non lo avremo, ricordiamoci che abbiamo quello di otto milioni di spagnoli» ha detto il leader della destra moderata spagnola. Dalla sua Rajoy ha un fattore: la stanchezza degli spagnoli. I suoi tre avversari non hanno formato una coalizione prima del voto di domenica e non intendono farlo ora. Davvero avranno tutti il coraggio di far tornare la gente alle urne? A quel punto, il primo partito potrebbe fare campagna come l’unico “responsabile”.

Il Psoe di Pedo Sanchez ha invece fatto sapere che non appoggerà una candidatura Rajoy né si asterrà nel caso questi si presenti alle Camere per chiedere un voto di fiducia. La chiusura e gli attacchi nei confronti di Podemos e Pablo Iglesias lasciano però intendere che i socialisti non sono neppure intenzionati a cercare di formare loro un governo. Mandando a dire «tocca a Rajoy l’iniziativa, decidere con chi parlare e di cosa», sperano forse in un qualche sbocco istituzionale tecnico all’italiana?

Il rebus è complicato da Ciudadanos che ha spiegato che non appoggerà un governo in continuità o che abbia dentro forze nazionaliste (baschi e catalani di centrodestra). Con il veto del leader di Ciudadanos Rivera non resterebbe che un governo dei due partiti tradizionali. Per i due partiti tradizionali del bipolarismo imperfetto spagnolo, formare un governo assieme significherebbe aprire autostrade a destra e sinistra alle due formazioni nuove ed emerse ammaccate dal voto di ieri.

Quanto alla sinistra, sia Podemos che Izquierda Unida hanno ribadito la volontà di rimanere alleati nonostante la perdita di un milione e passa di voti in sei mesi. L’esecutivo di Podemos ha commissionato studi demoscopici per cercare di capire meglio perché l’alleanza non ha funzionato e ha ribadito la propria contrarietà a un esecutivo di coalizione con Ciudadanos e Psoe a guida Sanchez. Il gruppo dirigente non pensa che il proprio No al tentativo del leader socialista fallito nei mesi scorsi sia alla base della sconfitta.

Di certo la Brexit e le paure che ha ingenerato, ha contribuito al buon risultato del partito di Rajoy. E di certo la Brexit peserà nel dibattito politico spagnolo a venire: c’è un flusso costante di britannici che comprano case e passano le vacanze in Spagna: se la Gran Bretagna precipitasse in una crisi vera, sarebbero guai per l’industria turistica spagnola.