L'economista Ernesto Longobardi commenta con Left, per il giornale della sera, le trattative europee, in particolare sulla tenuta del sistema bancario

«Non mi pare che la Brexit abbia ammorbidito Merkel. Fa bene Renzi a provarci, ma l’intervento sulle banche si sarebbe dovuto fare prima». Questo dice a Left Ernesto Longobardi, economista, professore, con cui abbia parlato un po’ della tenuta del sistema bancario, che sembra la prima vera conseguenza della Brexit, su cui si dovrebbe arrivare – ma non ci si arriverà – allo scontro con la Germania di Angela Merkel.

Mercati turbolenti, banche in affanno. Il primo effetto della brexit è la preoccupazione per la tenuta del sistema bancario. Perché?
«Perché i debiti sovrani sono protetti da Bce e quindi il rischio Paese, almeno a giudizio dei “mercati”, si è rivolto verso le banche e la loro esposizione. In Italia i bond decennali hanno più o meno tenuto, e anzi i rendimenti sono pur lievemente aumentati. Le banche invece sono crollate perché la percezione dei mercati, da citare sempre tra virgolette, è che questa volta, a differenza del 2011, i debiti pubblici siano protetti: ma non mi pare si possa parlare di una diretta conseguenza, non vedo un nesso diretto, se non per l’atteggiamento dei mercati, tra Brexit e la tenuta del sistema bancario».
E ora, anche se non l’ha detto in parlamento, Renzi vuole margini più ampi di intervento sulle banche, vuole fare ciò che il bail in impedisce. Cosa servirebbe?
«Quello che sta chiedendo Renzi è anche giusto, ma bisogna vedere se può riuscire adesso, così in ritardo: e non mi pare che la Brexit abbia ammorbidito Merkel. La cifra di cui si parla in queste ore, comunque, è 40 miliardi che servirebbero per sistemare le sofferenze, dopo averle svalutate».
Merkel dice però che le regole non si possono cambiare ogni due anni. Si è sbagliato, come rinfaccia al premier Renato Brunetta, a non intervenire prima?
«Si è sbagliato a sottoscrivere, come hanno fatto gli ultimi governi italiani, tutto ciò che chiedeva Merkel, dal fiscal compact al pareggio di bilancio in costituziona, fino alle norme sulle banche. Ma i governi, bisogna dire, l’hanno fatto perché le pressioni erano tutte sul debito pubblico, all’epoca, e finché non è intervenuto Draghi con il cannone l’Italia è rimasta sottoscacco».
Come dice Saccomanni, ministro di Letta: «La nostra priorità era il debito pubblico».
«In qualche modo ha ragione».
Germania, Francia, Spagna, intervennero sulle banche già nel 2013, con molte più risorse dei 6 miliardi messi sul piatto dall’allora governo Letta. Fa bene Renzi a rimpallare la colpa su chi l’ha preceduto?
«Avremmo dovuto farlo anche noi, sì. Ma non credo che avrebbe fatto diversamente un altro governo».
È giusto che sia lo Stato a pagare scompensi spesso frutto di azzardi se non di truffe?
«Bisognerebbe trovare un equilibrio tra quel che pagano tutti i contribuenti e quel che si lascia a chi con un titolo o con un altro ha investito nella banca. Ma bisogna farlo tenendo conto il grosso problema di informazione e di quanto poco possa fare un depositante per disciplinare la sua banca».
Resta comunque il tema delle responsabilità. In America fanno le cause di rivalsa, qui sembra trionfare una cera impunità.
«Che però temo sia un problema di nostra cultura».