Michael Gove, il bruto che ha assassinato le ambizioni di Boris Johnson e tradito Cameron, quando ha scelto di guidare la campagna per il Brexit, ha presentato la sua candidatura a leader conservatore. «Qualsiasi cosa sia il carisma, è qualcosa che non ho» ha detto il Segretario alla Giustizia, che ha promesso nell’ordine: niente elezioni fino al 2020, articolo 50 da far scattare nel 2017, fine della libertà di movimento in Europa, nuova legge su immigrazione e “ripensamento dei servizi pubblici”. La differenza con Theresa May, che sulle trattative e la non necessità di tornare alle urne conviene, è grande: stabilità e ritorno alla normalità per la Segretaria agli Interni, sebbene senza tentativi di tornare in Europa, pensiero più ideologico nei toni per Gove. May è la figura a cui affidarsi in tempi di spavento e crisi dopo il referendum, è stata contraria – moderatamente – all’idea di uscire dall’Europa, ma ha immediatamente detto che non si torna indietro. Gove è la faccia del cambiamento radicale, e nel suo discorso di lancio della campagna per la leadership ha insistito sul fatto che il voto nel referendum significa volontà di cambiare tutto da parte del popolo. Gove si è anche rivolto a quelli che non ce la fanno, la colonna del voto pro Brexit, un voto potenzialmente in fuga verso l’Ukip di Nigel Farage. Per adesso però, il radicale del gruppo di 5 candidati alla leadership che verrà eletta da un’assemblea di 1922 delegati, ha una grande debolezza: viene additato da molti come un traditore. In un periodo di incertezza, essere una figura tanto controversa può non aiutare. Alla corsa partecipano anche altri tre candidati: Stephen Crabb, Andrea Leasom e Liam Fox. Tutti molto pro Brexit, tutti con meno peso specifico e alleati di May e Gove, che divrebbero essere i due che finiranno al ballottaggio. Resta da capire come e quanto l’assemblea conservatrice sia animata da furore ideologico o dalla paura del disordine che arriverà con le trattative a Bruxelles. A proposito di queste, la commissaria al commercio, Maellstrom ha fatto sapere che di negoziati non si parla fino a quando la Gran Bretagna non chiederà il ricorso all’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Il braccio di ferro su come e quando, viste le posizioni britanniche, che tendono a rimandare, continuerà. Intanto, il Cancelliere dello Scacchiere si è rimangiato l0’idea di arrivare al surplus di bilancio entro il 2020. Ovvero, un’altra volta la destra promette tagli e pareggi di bilancio e poi rinuncia. Intanto si accende lo scontro nel Labour. Non è chiarissimo quali saranno i candidati, ma c’è la certezza che lo scontro sarà duro: in pochi giorni, al partito, si sono iscritte 60mila persone in pochi giorni, per votare a favore o contro la leadership di Jeremy Corbyn.

Michael Gove, il bruto che ha assassinato le ambizioni di Boris Johnson e tradito Cameron, quando ha scelto di guidare la campagna per il Brexit, ha presentato la sua candidatura a leader conservatore. «Qualsiasi cosa sia il carisma, è qualcosa che non ho» ha detto il Segretario alla Giustizia, che ha promesso nell’ordine: niente elezioni fino al 2020, articolo 50 da far scattare nel 2017, fine della libertà di movimento in Europa, nuova legge su immigrazione e “ripensamento dei servizi pubblici”.

La differenza con Theresa May, che sulle trattative e la non necessità di tornare alle urne conviene, è grande: stabilità e ritorno alla normalità per la Segretaria agli Interni, sebbene senza tentativi di tornare in Europa, pensiero più ideologico nei toni per Gove. May è la figura a cui affidarsi in tempi di spavento e crisi dopo il referendum, è stata contraria – moderatamente – all’idea di uscire dall’Europa, ma ha immediatamente detto che non si torna indietro.

Gove è la faccia del cambiamento radicale, e nel suo discorso di lancio della campagna per la leadership ha insistito sul fatto che il voto nel referendum significa volontà di cambiare tutto da parte del popolo. Gove si è anche rivolto a quelli che non ce la fanno, la colonna del voto pro Brexit, un voto potenzialmente in fuga verso l’Ukip di Nigel Farage. Per adesso però, il radicale del gruppo di 5 candidati alla leadership che verrà eletta da un’assemblea di 1922 delegati, ha una grande debolezza: viene additato da molti come un traditore. In un periodo di incertezza, essere una figura tanto controversa può non aiutare.

Alla corsa partecipano anche altri tre candidati: Stephen Crabb, Andrea Leasom e Liam Fox. Tutti molto pro Brexit, tutti con meno peso specifico e alleati di May e Gove, che divrebbero essere i due che finiranno al ballottaggio. Resta da capire come e quanto l’assemblea conservatrice sia animata da furore ideologico o dalla paura del disordine che arriverà con le trattative a Bruxelles.

A proposito di queste, la commissaria al commercio, Maellstrom ha fatto sapere che di negoziati non si parla fino a quando la Gran Bretagna non chiederà il ricorso all’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Il braccio di ferro su come e quando, viste le posizioni britanniche, che tendono a rimandare, continuerà. Intanto, il Cancelliere dello Scacchiere si è rimangiato l0’idea di arrivare al surplus di bilancio entro il 2020. Ovvero, un’altra volta la destra promette tagli e pareggi di bilancio e poi rinuncia.

Intanto si accende lo scontro nel Labour. Non è chiarissimo quali saranno i candidati, ma c’è la certezza che lo scontro sarà duro: in pochi giorni, al partito, si sono iscritte 60mila persone in pochi giorni, per votare a favore o contro la leadership di Jeremy Corbyn.