I fantasmi della guerra in Iraq e del modo in cui ci siamo (tutti) arrivati, tornano a perseguitare i responsabili. Questa è la volta di Tony Blair e di tutta la leadership laburista dei primi anni Duemila, quella che venne di fatto travolta dalla decisione di portare il Paese in guerra. Una guerra sbagliata, inutile e senza giustificazioni. Se non quella, ripetuta ancora ieri da George W. Bush che «Il mondo è migliore senza Saddam Hussein». Dopo anni di attesa, come fossimo in un processo sulle stragi in Italia,  ieri è stato diffuso il Rapporto Chiclot che analizza l'intelligence e le decisioni attraverso le quali si è arrivati all'invasione dell'Iraq nel 2003. E boccia Blair su tutta la linea.   La relazione di Sir John Chilcot, che trovate qui per intero, ma sono 2,6 milioni di parole, non parla di violazione del diritto internazionale, ma mette in luce una serie di cose che erano evidenti, a partire dagli errori politici e militari della testa che guidava le operazioni. Il Consiglio di sicurezza Onu aveva detto a maggioranza che le ispezioni andavano continuate e il dittatore iracheno non presentava alcuna minaccia concreta, ha detto Chilcot presentando il rapporto. Non solo: c'è stato "poco tempo" per preparare le tre brigate militari, i rischi sono stati sottovalutati e, dunque, la missione preparata male, l'intelligence era difettosa e non verificata e Blair ha sopravvalutato la sua capacità di influenzare le decisioni degli Stati Uniti in Iraq. Bush, insomma, nel dopo Saddam se ne è infischiato di quel che gli suggeriva Blair. La cosa probabilmente non ha aiutato, ma visto chi era alla guida della Casa Bianca in quegli anni (Rumsfeld, Cheney, Wolfovitz) c'era da aspettarselo. Dal testo esce anche l'idea chiarissima che per preservare l'alleanza con gli Usa, Blair ha fatto di tutto per compiacere e far sentire la propria vicinanza a Bush. Ci sono segnali che condividesse più informazioni e punti di vista con il presidente neocon Usa che con i suoli ministri, si evince dal rapporto. Come è chiaro che nemmeno il comando militare fosse al corrente della vastità dell'operazione da intraprendere. La pubblicazione del rapporto avrà conseguenze politiche immediate. Nei giorni scorsi abbiamo assistito a una rivolta, tentativo di colpo di mano contro Jeremy Corbyn da parte dell'ala blairiana del partito laburista. L'attuale leader della sinistra britannica è in seria difficoltà e deve spiegare in maniera più chiara la sua idea di Europa. Ciò detto, un pezzo del suo partito cerca di farlo fuori fin dal primo giorno. Ieri questa parte dei laburisti non aveva grandi argomenti. E Tony Blair, che nei giorni scorsi aveva dichiarato che con Corbyn leader il Labour non vincerà mai, ha dovuto parlare d'altro. «Mi prendo la piena responsabilità della guerra in Iraq. Senza eccezioni e scuse. Riconosco quanto il Paese è diviso e sento la sofferenza di chi è morto in Iraq, britannici, altri soldati o iracheni. Le notizie che avevamo si sono rivelate sbagliate e i piani erano sbagliati. E il Paese che volevamo liberare da Saddam è finito con l'essere vittima di terrorismo settario. Per tutto questo mi sento responsabile». La verità è che Tony Blair, sempre sorridente e spavaldo, stavolta aveva la voce rotta e il fiatone. A domanda diretta l'ex premier risponde: «Credo cha abbiamo comunque fatto la scelta giusta e che oggi il mondo sia più sicuro». Chissà che giornali legge e che Tv guarda. Chi è passato al contrattacco è Corbyn, che ha chiesto scusa a nome del suo partito per la guerra ai soldati, agli iracheni e a tutti i britannici. E ha anche aggiunto che il Regno Unito dovrebbe sostenere l'apertura di un'indagine internazionale sulla violazione del diritto internazionale. Corbyn è uno dei pochi che votò contro la guerra in Iraq e questo è anche uno dei motivi per cui ha vinto la contesa per la leadership - lo stesso, in forma diversa avvenne nel 2008 tra Obama e Clinton. La verità è che quella guerra rimane una macchia molto grande sul partito laburista, specie tra la parte più a sinistra dell'elettorato. È che per riconquistare quell'elettorato serve una figura che rompa con quel passato recente. La pubblicazione del rapporto è destinata a cambiare di nuovo la dinamica della politica britannica, specie quella in casa laburista. Vedremo in che modo nei prossimi giorni. Chi non cambia mai è Donald Trump: il candidato repubblicano alla presidenza Usa ha elogiato Saddam Hussein dicendo che lui sì che ammazzava i terroristi. Un'altra occasione per mettere in difficoltà tutto il suo partito.

I fantasmi della guerra in Iraq e del modo in cui ci siamo (tutti) arrivati, tornano a perseguitare i responsabili. Questa è la volta di Tony Blair e di tutta la leadership laburista dei primi anni Duemila, quella che venne di fatto travolta dalla decisione di portare il Paese in guerra. Una guerra sbagliata, inutile e senza giustificazioni. Se non quella, ripetuta ancora ieri da George W. Bush che «Il mondo è migliore senza Saddam Hussein».
Dopo anni di attesa, come fossimo in un processo sulle stragi in Italia,  ieri è stato diffuso il Rapporto Chiclot che analizza l’intelligence e le decisioni attraverso le quali si è arrivati all’invasione dell’Iraq nel 2003. E boccia Blair su tutta la linea.  

La relazione di Sir John Chilcot, che trovate qui per intero, ma sono 2,6 milioni di parole, non parla di violazione del diritto internazionale, ma mette in luce una serie di cose che erano evidenti, a partire dagli errori politici e militari della testa che guidava le operazioni. Il Consiglio di sicurezza Onu aveva detto a maggioranza che le ispezioni andavano continuate e il dittatore iracheno non presentava alcuna minaccia concreta, ha detto Chilcot presentando il rapporto.

Non solo: c’è stato “poco tempo” per preparare le tre brigate militari, i rischi sono stati sottovalutati e, dunque, la missione preparata male, l’intelligence era difettosa e non verificata e Blair ha sopravvalutato la sua capacità di influenzare le decisioni degli Stati Uniti in Iraq. Bush, insomma, nel dopo Saddam se ne è infischiato di quel che gli suggeriva Blair. La cosa probabilmente non ha aiutato, ma visto chi era alla guida della Casa Bianca in quegli anni (Rumsfeld, Cheney, Wolfovitz) c’era da aspettarselo.

Dal testo esce anche l’idea chiarissima che per preservare l’alleanza con gli Usa, Blair ha fatto di tutto per compiacere e far sentire la propria vicinanza a Bush. Ci sono segnali che condividesse più informazioni e punti di vista con il presidente neocon Usa che con i suoli ministri, si evince dal rapporto. Come è chiaro che nemmeno il comando militare fosse al corrente della vastità dell’operazione da intraprendere.

La pubblicazione del rapporto avrà conseguenze politiche immediate. Nei giorni scorsi abbiamo assistito a una rivolta, tentativo di colpo di mano contro Jeremy Corbyn da parte dell’ala blairiana del partito laburista. L’attuale leader della sinistra britannica è in seria difficoltà e deve spiegare in maniera più chiara la sua idea di Europa. Ciò detto, un pezzo del suo partito cerca di farlo fuori fin dal primo giorno. Ieri questa parte dei laburisti non aveva grandi argomenti. E Tony Blair, che nei giorni scorsi aveva dichiarato che con Corbyn leader il Labour non vincerà mai, ha dovuto parlare d’altro.

«Mi prendo la piena responsabilità della guerra in Iraq. Senza eccezioni e scuse. Riconosco quanto il Paese è diviso e sento la sofferenza di chi è morto in Iraq, britannici, altri soldati o iracheni. Le notizie che avevamo si sono rivelate sbagliate e i piani erano sbagliati. E il Paese che volevamo liberare da Saddam è finito con l’essere vittima di terrorismo settario. Per tutto questo mi sento responsabile». La verità è che Tony Blair, sempre sorridente e spavaldo, stavolta aveva la voce rotta e il fiatone. A domanda diretta l’ex premier risponde: «Credo cha abbiamo comunque fatto la scelta giusta e che oggi il mondo sia più sicuro». Chissà che giornali legge e che Tv guarda.

Chi è passato al contrattacco è Corbyn, che ha chiesto scusa a nome del suo partito per la guerra ai soldati, agli iracheni e a tutti i britannici. E ha anche aggiunto che il Regno Unito dovrebbe sostenere l’apertura di un’indagine internazionale sulla violazione del diritto internazionale. Corbyn è uno dei pochi che votò contro la guerra in Iraq e questo è anche uno dei motivi per cui ha vinto la contesa per la leadership – lo stesso, in forma diversa avvenne nel 2008 tra Obama e Clinton. La verità è che quella guerra rimane una macchia molto grande sul partito laburista, specie tra la parte più a sinistra dell’elettorato. È che per riconquistare quell’elettorato serve una figura che rompa con quel passato recente. La pubblicazione del rapporto è destinata a cambiare di nuovo la dinamica della politica britannica, specie quella in casa laburista. Vedremo in che modo nei prossimi giorni.
Chi non cambia mai è Donald Trump: il candidato repubblicano alla presidenza Usa ha elogiato Saddam Hussein dicendo che lui sì che ammazzava i terroristi. Un’altra occasione per mettere in difficoltà tutto il suo partito.