In Arabia Saudita la vita di una donna è controllata, dalla nascita fino alla morte, da un uomo. Ogni donna saudita infatti ha un tutore maschio, il padre o il marito, che ha il potere di decidere su qualsiasi aspetto della vita della donna, anche su ciò che riguarda in modo cruciale il suo benessere o la sua salute

In Arabia Saudita la vita di una donna è controllata, dalla nascita fino alla morte, da un uomo. Ogni donna saudita infatti ha un tutore che in genere è il padre, il marito o il fratello, ma in alcuni casi addirittura il figlio e che è in tutto e per tutto un guardiano che ha il potere di decidere su qualsiasi aspetto della vita della donna, anche su ciò che riguarda in modo cruciale il suo benessere o la sua salute. Questo sistema che rinchiude la vita di una donna all’interno dei confini della scatola che il tutore maschio ha scelto di disegnare per lei è il principale ostacolo per l’emancipazione femminile e il riconoscimento dei diritti delle donne in Arabia Saudita.

 

«Siamo costrette a vivere dentro ai bordi delle scatole che i nostri e i nostri mariti disegnano per noi»

 

 

Zahra, 25 anni, 7 aprile 2016

Per mappare la situazione e cercare di portare il tema all’attenzione dei governi Human Rights Watch ha realizzato un report intitolato “Boxed In: Women and Saudi Arabia’s Male Guardianship”, ovvero “Inscatolate: le donne e il sistema di tutela maschile dell’Arabia Saudita”. Il dumento esamina nel dettaglio le storie di molte donne i cui diritti sono negati quotidianamente a questa legge e mette in luce tutte le barriere formali e informali che in Arabia Saudita vengono messe in campo quando una donna deve prendere una qualsiasi decisione. Addirittura in alcuni casi la tutela maschile assume la forma del ricatto come ad esempio con la scusa della tutela vengono estorte ingenti somme di denaro a dipendenti di sesso femminile.

 

«Tutto questo può creare della confusione nel modo in cui consideri te stessa. Come fai a provare rispetto per te stessa e come fa la tua famiglia a dimostrarti rispetto, se lui è il tuo tutore legale per qualsiasi cosa?»

 

 

Hayat, 44 anni ex direttore scolastico, 7 dicembre 2015

«Le donne saudite sono ancora costrette a richiedere il permesso del loro tutore per viaggiare, lavorare o fare qualsiasi altra cosa. E questo di fatto è il perdurare di una grave violazione dei loro diritti umani, oltre che una barierra che impedisce al governo di potenziare la propria economia» spiega Sara Leah Whitson, direttrice dell’area mediorientale di Human Rights Watch. «Sarebbe nell’interesse del governo – continua Whitson – ascoltare le richieste di metà della popolazione per mettere fine alla schiavitù della tutela maschile».

Le limitazioni imposte dalla rigida tutela dell’uomo in Arabia Saudita sono comuni alle donne di tutte le classi sociali, dal ceto più alto a quello più basso la donna dovrà sempre ottenere il permesso del proprio tutore per viaggiare, lavorare, sposarsi e perfino per uscire dal carcere. Questo significa che se una donna ha scontato una pena in prigione al momento del rilascio è il suo tutore a dover dare l’approvazione perché torni in libertà. Se egli ritiene che, per esempio la donna abbia disonorato la famiglia e che non sia moralmente accettabile riprenderla di nuovo in casa, la prigioniera non viene rilasciata.

 

«È straordinario pensare a quanto siamo riuscite a ottenere nonostante tutte le restrizioni alle quali siamo sottoposte…Ora che molte più donne stanno lavorando, credo ci saranno dei cambiamenti. È inevitabile!»

 

 

Khadija, 42 anni

La questione non cambia quando bisogna affrontare situazioni più semplici e all’ordine del giorno: dal deposito in banca all’affitto di un appartamento è sempre necessario prima ottenere il consenso maschile, ma la stessa cosa accade anche quando si tratta di avere accesso alle cure mediche. Ogni possibilità di sopravvivenza e di carriera per una donna in Arabia Saudita è quindi una diretta conseguenza del buon senso e della “magnanimità”, se di questo si può parlare in una situazione così tragica, del proprio tutore. Non è raro inoltre che alcuni di essi accordino il loro consenso per viaggiare e lavorare, o comunque condurre una vita più emancipata, dietro il pagamento di consistenti somme di denaro.

Qualche timido cambiamento nel corso degli ultimi anni è stato fatto, basta pensare alle elezioni amministrative del dicembre 2015 alle quali hanno potuto partecipare anche le donne. Il merito di questo va a molte attiviste per i diritti umani hanno più volte fatto pressione sul governo saudita per ottenere la completa abolizione del sistema di tutela. Inoltre nel 2000 l’Arabia Saudita è entrata a far parte della Convenzione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne il che legalmente obbliga il Paese a colmare il ritardo e abolire il sistema di tutela maschile.

 

«La tutela maschile è sempre un incubo. Non voglio sposarmi perché non voglio che un estraneo mi controlli…tecnicamente questa è schiavitù»

 

 

Tala, 20 anni

Nonostante però il governo avesse espresso la sua disponibilità per abolire la legge più volte, prima nel 2009 e poi nel 2013, i miglioramenti sono ancora minimi – insufficienti, incompleti e inefficaci – e l’abolizione è ancora un miraggio lontano. Soprattutto, fino a quando questo non avverrà, rimarrà un miraggio altrettanto lontano la realizzazione da parte del governo di Vision 2030, il piano di sviluppo per il futuro presentato per rilanciare l’economia del Paese, all’interno del quale le donne (esattamente la metà dell’intera popolazione) vengono definite come una “grande risorsa” le cui capacità dovranno essere sviluppate per il bene dell’economia e della società saudita. Il cambiamento quindi deve iniziare adesso e non può avvenire in modo graduale, come spiega chiaramente Hayat, 44enne saudita: «Non credo che tutto questo possa essere cambiato a piccoli passi. Deve succedere ora, subito. Abbiamo bisogno di un governo coraggioso che abolisca definitivamente la tutela maschile e realizzi maggior uguaglianza fra uomini e donne».