Analisi delle falle della sicurezza in Francia. Bergoglio dice: è guerra, ma non di religione. Trump chiede aiuto ai russi, Renzi si eclissa

Come proteggerci? Lupi solitari o soldati dell’Isis, animati da “furore rabbioso”, come pare lo chiamino in Germania, senza altri attributi ideologici, o preda di “follia islamica”? Come che sia, costoro sparano al supermercato, ammazzano vecchi e bambini sul lungo mare di Nizza, sgozzano in chiesa. Dove e quali sono le falle nella rete che dovrebbe proteggere i nostri diritti e le nostre libertà? Adel Kermishe aveva tentato per due volte di andare in Siria. Non ci si va per prendere il sole, ma per ammazzare e prepararsi a morire da kamikaze. Alla fine è stato arrestato, carcere preventivo, perché un’intenzione non è ancora reato. Il suo profilo è apparso quello di un giovane senza identità, déraciné dicono i francesi, con disagi mentali e pulsioni suicide. Allo scadere dei termini di carcerazione preventiva e davanti alla sua promessa di mettere la testa a partito e di lavorare cioè come aiuto psicologo per dare una mano a gente come lui, era stato mandato a casa ma con un braccialetto al polso che gli consentiva 4 ore di libertà, dalle 8 alle 12. In quelle 4 ore ha sgozzato padre Jacques. Pare che in carcere gli fosse stata trovata una sim che usava per tenere rapporti con gaglioffi suoi pari. Circostanza sottovalutata. Di certo si teneva in contatto con Abdel Malek, un coetaneo che viveva in Savoia, 600 chilometri più a sud. Costui era stato “attenzionato” da un servizio segreto straniero che, stavolta, aveva informato i francesi. Una foto segnaletica con su scritto: “quest’uomo vuole colpire in Francia”. Lo cercavano da due settimane. Abdel aveva detto alla madre “vado a trovare dei cugini a Nancy” e invece era corso a Saint Etienne du Rouvary, in alta Normandia. Aveva dormito a casa di Adel Kermishe, insieme avevano recitato e ripreso (con la telecamera di un telefonino) la professione del martire e se ne erano andati a fare un martire vero, padre Jacques. Da quel che sappiamo si evidenziano tre falle. Dei terroristi sospetti -in Francia li marcano con una S- vanno studiate, in primo luogo, le comunicazioni: uso del telefono, dei social network, ricerche in rete. Si può fare? Si fa: chiunque voglia vendervi qualunque cosa sa molto delle vostre consuetudini in rete. Ma si fa per vendere merci, non per difendere libertà e diritti. La seconda falla riguarda la collaborazione, carente, tra polizie e servizi segreti. La terza – che è la più difficile da riparare- sta nell’assenza di controllo sociale, controllo che scema quanto più la società è “liquida”. Di Adel, di Abdel, di Ali Sonboly -quello di Monaco- qualcuno sicuramente si era accorto, aveva capito o sospettato. Ma ha pensato che non fosse affar suo intervenire: “a me che importa?”.
È guerra ma non di religione. Parole dette da Bergoglio e riprese, nel titolo, da Repubblica. È un fatto che la lunga pace -70 anni, dal 1945 al 2015- sia ormai finita. O meglio, è un fatto che le guerre regionali (in Afganistan, poi nei Balcani, infine in Iraq), guerre che l’imperialismo pensava di controllare, siano ormai fuori controllo. Lo testimoniamo la guerra saudita (e di Al Qaeda) nello Yemen, i massacri quotidiani in Siria e in Iraq, che nessuno riesce a chiudere perché ognuno cerca di lucrare posizioni e opportunità per il dopo, e le scorrerie mortifere in Somalia, nel Sahara, nell’Africa sub sahariana. Sono guerre in cui si scambiano armi con petrolio, guerre per il controllo dell’acqua, conflitti che attuano la pulizia etnica per gettare le basi di stati più “omogenei”, guerre per l’egemonia sul medio oriente. Inoltre è in crisi il sistema di alleanze militari con cui l’Occidente ha dominato il medio oriente: lo dimostrano il ruolo che ha potuto svolgere Putin in Siria, e ancora di più la follia ondivaga e il colpo di stato di Erdogan in Turchia, nel paese, cioè, che muove il secondo esercito della Nato. Da tempo Bergoglio parla di “terza guerra mondiale a pezzi” e denuncia “interessi, commercio delle armi, controllo delle risorse”. Un gesuita che scimmiotta Marx -scrivono Libero e il Giornale-, quando critica l’imperialismo e vuole rompere il cordone tra chiesa cattolica e potere occidentale. C’è anche questo: Bergoglio sa che la chiesa di Costantino non può, oggi, che veder diminuire le vocazioni e il numero dei fedeli. Ma il Papa sa pure che persino le guerre di Maometto (e poi il massacro del suo “successore” Ali e l’inizio dello scisma tra sunniti e sciiti) furono guerre per il potere. Tanto più lo sono quelle di oggi. Ricorda come Bin Laden volesse riscattare i correligionari e connazionali sauditi dal giogo americano e che l’attentato alle Twin Towers serviva per dimostrare la praticabilità del suo progetto e per punire la monarchia saudita, colpendola negli interessi, mondializzati e prima di tutto americani. Bergoglio sa che Daesh vive del controllo di una parte della Siria e dell’Iraq. Se lo perdesse, scemerebbe il suo appeal ideologico e, col tempo, diminuirebbero anche gli attentati. Sa infine come il miglior regalo che si possa fare ai tagliagole wahhabiti e salafiti è di accusare l’Islam in quanto tale. Questo sì, li aiuterebbe a vincere le loro guerre e a moltiplicare le vocazioni al martirio.
Passo falso (?) di Trump sui russi. Il titolo è del Corriere, il punto interrogativo è mio. Per togliere la scena alla Convention di Philadelphia, il miliardario candidato si è rivolto al caro nemico Putin e gli ha chiesto di trovare e svelare al più presto il testo delle mail che Hillary ha spostato dagli account del ministero degli esteri e quelli suoi personali. Donald ha solo giocato di sponda: erano stati alcuni idioti clintoniani a evocare una manina russa dietro la pubblicazione (firmata wikileaks) delle loro trame per screditare Sanders e far vincere Hillary. Tuttavia questo appello diretto a un russo da parte di un candidato alla Casa Bianca non s’era mai visto prima. Non credo che sia un passo falso. L’americano medio non teme più che “ultracorpi” sovietici invadano il Midwest e ritiene che i pericoli per l’American Lifestyle vengano piuttosto dalle trame e dalle alleanze che le élite di Washington hanno imposto al paese. Obama ha cercato di chiudere, in modo ordinato e con onore, l’epoca del super imperialismo a stelle e strisce, ora Trump vuole andare oltre: facciamoci i fatti nostri, usiamo semmai la forza militare a tutela dei nostri interessi immediati. Punto. Trump a Washington, Erdogan che stringe con Putin un patto del mar nero, i russi in Siria, il canale della Manica più profondo. Viviamo già in un altro mondo. Hillary, Angela, François lo capiscono?
Il governo non c’è più. Il Fatto racconta così quello che l’amorevole Maria Teresa Meli aveva chiamato “strategia del sommergibile”, cioè l’immersione nel balbettio e nell’irrilevanza dell’ex fenomeno Renzi. Vi sembro ingiusto? “In questo lungo e caldo mese -scriveva Renzi a fine luglio del 2015- siamo stati impegnati su più fronti. Le due parole d’ordine sono sempre le stesse: riforme e crescita”. Spavaldo, aveva appena umiliato il Senato, imponendo la “riforma” della scuola. Saldo nei suoi stivali annunciava la ripresa economica. Un anno prima, nel luglio del 2014, Matteo usciva fresco, fresco dal 41% alle europee e stava per imporre al Senato, a colpi di canguro e in pieno agosto, la “riforma” di ben 47 articoli della costituzione. “Ora nessuno fermerà il cambiamento”, diceva trionfante. E oggi, dopo appena due anni? Napolitano (sic) scopre che il nostro sistema politico è tripolare -lo è da tre anni- e che l’italicum non va bene. Di referendum non si parla, se non facendo il verso al Fellini- Veltroni: non votate No, non interrompete (per favore) un’emozione (quella che provano i ministri entrando in auto blu a Palazzo Chigi. Sulla ripresa scende il silenzio. Dov’è la grinta, dove la mascella volitiva e l’entusiasmo dei clientes? Sic transit gloria mundi.