In Libia l'unica legge che vale è quella imposta dai trafficanti: violenta, disumana e persecutoria. Medici Senza Frontiere racconta le storie dei migranti, tra rapimenti e detenzioni forzate. Per cambiare passo, e accogliere chi arriva dalla Libia

Da quando Medici Senza Frontiere ha iniziato le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, un anno fa, ha salvato oltre 25.000 migranti: 209 soltanto la scorsa settimana, a largo delle coste libiche. 455 superstiti arriveranno domani invece a Catania a bordo della Bourbon Argos, una delle navi della flotta umanitaria di Msf che batte il Mediterraneo dal 2015.

Dietro i numeri, ci sono però le persone e le storie. E l’organizzazione internazionale, attenta alla cura dei disagi fisici e mentali associati all’esperienza migratoria, ne ha raccolte alcune. Rapimenti, torture, violenze sessuali, omicidi e schiavitù sono parte integrante del viaggio dei migranti verso l’Europa. Molte delle violenze inflitte dai trafficanti a rifugiati e richiedenti asilo sono funzionali alla estorsione di denaro. La migrazione clandestina ha un costo, ma quello umano è molto più alto. Il 50% dei soccorsi intervistati ha raccontato di essere stato imprigionato in Libia per mesi e in condizioni disumane. L’82% dei pazienti trattati in Sicilia – si legge nel comunicato di Msf – ha raccontato di aver vissuto eventi traumatici durante il percorso migratorio.

Senza la regolamentazione di un sistema d’asilo in Libia, denuncia Medici Senza Frontiere, coloro che si mettono in viaggio verso l’Europa non possono essere trattate in conformità al diritto internazionale e regionale dei rifugiati. In Libia l’unica legge che vale è quella imposta dai trafficanti: violenta, disumana e persecutoria. Lo scoppio della guerra civile ha alterato enormemente le condizioni di sicurezza del Paese e mentre le forze governative provano a ripristinare le condizioni di normalità, la vita quotidiana è scandita dalle violenza e dall’insicurezza sociale. Nel rapporto pubblicato da Msf si evidenziano alcune delle maggiori criticità: i rapimenti, il lavoro e la prostituzione forzata, la detenzione.

Di storie simili a quella di Mamadou, che ha 26 anni, Msf ne ha raccolte moltissime. I medici e i volontari hanno raccontato di aver soccorso uomini e donne vittime di percosse violente inflitte con armi e nelle parti più sensibili dei loro corpi. Testimonianze drammatiche arrivano poi dalle donne, le più vulnerabili. Molte di loro viaggiano da sole, tante sono incinte. Nei racconti di alcune, Maria, Hope e Natasha (tutti nomi di fantasia, tutte giovanissime e tutte assistite da Msf), i drammi della prostituzione forzata e della detenzione.

Maria, 26 anni, dal Camerun: «Le persone vendono persone. Vendere la gente in Libia è normale. Hanno preso tutte le nostre cose. Tutti avevano una pistola in Libia – anche i bambini (…) Ho passato tre mesi e mezzo in Libia, in due case diverse. Un giorno una ragazza è morta davanti a noi. Era malata, senza cibo e senza acqua. Se vai in ospedale, lori ti rapiscono. La mia amica è ancora in prigione; lei è lì da sette mesi».

Hope, 20 anni, una cantante dalla Nigeria. In Nigeria è diventata amica di una donna che l’aveva invitata nel Lagos ma quando è arrivata lì «lei mi ha venduta ad un‘altra signora e mi hanno portato in un bordello in Libia. Gli uomini sarebbero venuti e avrebbero pagato per avere rapporti sessuali con le donne. Io mi rifiutavo di avere rapporti sessuali con gli uomini, e loro mi hanno imprigionata e picchiata più e più volte».

Natasha, 23 anni, dal Camerun, che è stata recuperata in mare insieme al suo bambino di quattro mesi, Divine, ha raccontato: «Quando siamo arrivati a Tripoli, ci hanno rapiti. Ci hanno portato in una casa in cui centinaia di persone erano tenute prigioniere. Ci sono rimasta per cinque mesi. Temevo di morire lì, avevo paura che mi avrebbero violentata come avevano fatto con altre donne».

People* held in a detention centre in Tripoli, Lybia *Refugees, migrants and asylum seekers
Rifugiati, migranti e richiedenti asilo in un centro di detenzione a Tripoli, Libia

Attraverso i racconti, le testimonianze e la campagna #MilioniDiPassi, Medici Senza Frontiere chiede, ai governi e alla comunità internazionale, un cambio di passo. La Libia non ha ratificato la Convenzione del 1951 sullo status di rifugiato, è un Paese dilaniato da una crisi politica e umanitaria gravissima, e i Paesi dell‘UE, pertanto, non dovrebbero negare alle persone che fuggono da lì la possibilità di raggiungere l‘Europa. Come se ciò non bastasse, l’assenza di canali legali per il transito dei migranti, obbliga i più disperati ad affidarsi alle mani dei trafficanti. E ed infine, le politiche di respingimento dell’Unione Europea dannose e pericolose non hanno alcun effetto benevolo sulla deterrenza della crisi dei migranti. Per Medici Senza Frontiere serve davvero un cambio di passo.