Lo chiamano molecolare, perché non ha bisogno di cellule per agire. È il terrorismo degli idiotes, cittadini privati. Narcisi o depressi, tutti attenti a fare testamento formato selfie prima di uccidere e morire

AUA. Allah U Akbar. Dio è grande. Tu no. E sei morto.
Quando accendi la tv e chiedi che attentato è oggi. Quando segui la scia di sangue carsica che si rialza e si inabissa da una città all’altra. Quando pensi che c’è bisogno di una lista aggiornata della morte al minuto, non più mese per mese, settimana per settimana, giorno per giorno. Quando non è una catena ad anelli, ma comincia a sembrare una matrioska di bombe una nell’altra. Di vuoti che esplodono insieme, i loro nei nostri. Quando pensi che il 30 giugno l’attentato all’aereoporto Ataturk, Turchia ricordava quello all’aereoporto di Bruxelles, 22 marzo. Quando pensi di poter tracciare almeno un lineamento comune dell’identikit di chi uccide, l’autore del prossimo attentato lo contraddice. Seguirà la stessa coreografia di immagini rosse e nere teletrasmesse e dopo qualche ora i nomi di chi voleva condannare tutti all’arcadia ultraterrena wahabita, in un’Europa che abbiamo costruito peccatrice e imperfetta, che amiamo viva e dolorosa così com’è. Spegni la tv. Tu hai il dito sul telecomando, loro sullo smartphone e sul grilletto.
Questo ultimo terrorismo lo chiamano molecolare, perché non ha bisogno di cellule per agire. Né di una rete o un’organizzazione. È quindi terrorismo degli idioti, idiotes, di cittadini privati. Di narcisi ossessivi o di depressi in cura, tutti però attenti a fare testamento selfie prima di uccidere e morire come Omar Marteen ad Orlando l’11 giugno scorso prima della più grande strage americana. È un’immagine che li ipnotizza da uno schermo dove è in onda una televendita religiosa del paradiso in diretta dalla Siria. Radicalizzati, poi radicali e poi ridicoli, si scattano la fototessera da quello stesso schermo, immagine che vedremo noi dopo, quando la loro faccia da sconosciuti diventerà quella degli assassini del giorno. Non serve una granata o un tank. Basta un coltello, un’ascia, un tir e una faccia per dire che venderai ai bambini dei gelati prima di stenderli sotto le tue ruote e le lenzuola bianche. Basta il fare spavaldo davanti alla morte che non hai mai avuto davanti alla vita. Dei veri hadith del profeta, l’internazionale jihadista istantanea sa poco. Questo è morte e islam for dummies, come quasi tutto ultimamente.
Alla chiamata di furbi, sani e vivi convertitori via web che prima corteggiavano i pazzi di dio, ora ammiccano anche i pazzi e basta. Prima rispondevano gli incattiviti diventati cattivi, ora quelli che diresti folli. Non serve nemmeno un contatto diretto a convincerli. Basta quello passivo che si è verificato essere altrettanto efficace e irreversibile. L’Is e i suoi profeti perdono territorio reale sul campo ma acquistano quello immaginario. Arrivano alla testa globale dei diseredati. Sterminatori fragili, distorti, disillusi in un’utopia buia, utili idioti per la camarilla islamica che fa a meno anche di reduci addestrati, foreign fighters di ritorno dalla Siriaq. Bastano i moribondi, i senza causa che ne hanno appena trovata una e non c’è intelligence che tenga se basta un minuto a convincerti.
Charlie, rien ne va plus. Dopo il Bataclan si disse adesso basta. Difenderemo democrazia, champagne, Parigi, il rock. Ora si dice non sarà facile. La Francia ha pagato con 236 morti dal primo gennaio 2015 al 28 luglio 2016: dal 7 gennaio quando il commando fa fuoco nella redazione di Charlie, 12 matite morte; dall’8 e 9 con Coulibaly che uccide 4 persone nel supermercato Hyper Cascher; fino al 13 novembre del Bataclan. Un concerto requiem di 130 morti.
L’ultima vittima di Francia e di luglio è una tunica inginocchiata sull’altare alle 9 del mattino. L’86enne padre Jacques era già in pensione ma tornava da due fedeli e 3 suore per dire messa in assenza di altri preti in quel pezzo di Normandia. Sono stati uccisi dalle teste di cuoio quelli che tentano di filmare l’esecuzione ma non ci riescono, entrando tra le colonne e la croce con una finta cintura esplosiva, una pistola inceppata e un coltello. Adel Kermiche su Telegram mandava messaggi audio a 200 amici: “prendi un coltello, vai in una chiesa, fai una carneficina. Tagli due o tre teste”. Mentre entrava nella chiesa a Saint Etienne du Rouvray, con i suoi 19 anni e la foto profilo di Al Bagdadi, era accompagnato dal coetaneo doppiamente segnalato ai servizi francesi, Abdel Malik Petitjean. Abdel è poi apparso in un video dell’agenzia stampa dell’IS, Amaq: “colpite gli occidentali, svegliatevi” dice.
Svegliatevi. Ma nell’Europa dei sonnambuli tutti stanno dormendo sonni diversi. I due attentatori non sono cecchini, sono smanettoni. Non soldati, sono depressi clinici. Kermiche ha problemi psichiatrici. È libero dal 22 marzo con il braccialetto elettronico. Nel 2015 tenta di raggiungere la Siria e viene fermato. Vuole fare il percorso inverso dei migranti: Bulgaria, Turchia, Siria. Adel comincia a blaterare di nemici dell’islam dopo Hebdo: lo dicono gli amici solo dopo. La conversione di Adel è avvenuta in cella, in una prigione francese sovraffollata come le chat room del web, come è accaduto ai fratelli Kouachi. La guerra non è dentro né in casa, ma di casa, perché questi sono figli di Francia. I Kouachi come Adel avevano la S degli schedati delle fiche francesi. S della Surete de l’Etat, minaccia alla sicurezza dello Stato, che hanno in diecimila e 500 sulla schiena. La foto di Adel Kermiche il giorno dopo è imbarazzante: gli occhi spauriti, un cappello con su scritto Algeria. Sembra un profugo, sembra spaurito, sembra chiunque di noi. Non gli è servita filiera o madrassa per convincersi al martirio: ma uno schermo, il web, una solitudine troppo rumorosa.
Il giorno dopo si prega insieme nelle chiese e nelle moschee, ma non c’è concilio laico né per domani, né per oggi né per i morti del giorno prima. È il 14 luglio, il giorno dei liberi.
È festa. È Nizza. Balla Europa. E muori. Il giorno della rivoluzione non solo francese infatti muoiono turisti italiani, russi, americani per un figlio adottivo last minute del Daesh: 31 anni, cinque minuti, 84 morti, un sopralluogo prima dell’assalto lungo la Promenade des Anglais, l’ultimo selfie sul luogo che sarà del delitto in cui sorride. Poi il video di un cellulare che riprende l’ennesima agonia social, la vendetta del dio folle in streaming. Era un autista anche nella vita reale prima di diventare chauffer della morte di Allah, Mohamed Lahouaiej Bouhlel.

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