Deutsche Bank affonda all'apertura della Borsa di Francoforte. La richiesta di 14 miliardi di euro da parte del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti è un colpo sonoro al colosso bancario tedesco, ma non si può certo dire che sia inatteso. La somma richiesta dagli americani sarebbe un risarcimento legato alla crisi dei mutui subprime, quelli concessi a soggetti che non offrono le garanzie sufficienti, e alla vendita di obbligazioni garantite da debiti (in gergo tecnico, collateralizzate), entrambi alla base della cosiddetta crisi finanziaria globale del 2008. La maggiore banca tedesca, guidata in questa difficile fase di ristrutturazione da John Cryan, è accusata di aver venduto all'epoca titoli “tossici” senza fornire le informazioni necessarie. E nel caso delle obbigazioni collateralizzate, ha evidenziato un'inchiesta del Senato Usa, lo avrebbe fatto anche negli anni successivi alla crisi del 2008. La richiesta giunta ora dagli Stati Uniti è almeno 5 volte superiore a quella che si aspettava Deutsche Bank (ci si aspettava una proposta di accordo transattivo da circa 2,4 miliardi) e c'è chi insinua il dubbio che si tratti di una forma di reazione americana alla maxi-richiesta di risarcimento fatta dall'Ue a Apple per le tasse non pagante in Irlanda. Il colosso bancario tedesco, stando alle testate di settore, avrebbe reagito con un no secco, lasciando presagire l'avvio di una lunga fase negoziale, non priva di tensioni tra i due Paesi, per ridurre l'etità del risarcimento. La vicenda ha rieccaso i riflettori su questo gigante finanziario dai piedi d'argilla (Left gli aveva dedicato la copertina del numero del 16 luglio 2016), che sembrava aver superato con poche ammaccature la crisi del 2008 nonostante fosse tra i soggetti più attivi nel mercato dei subprime e delle obbligazioni garantite da debiti (in gergo tecnico, collateralizzate). Ma una serie di scandali e sanzioni negli ultimi anni ne hanno messo in luce le crepe. Nel 2013 dalla Commissione europea è arrivata una multa di 259 milioni di euro, seguita nel 2015 da una stangata da 2,5 miliardi di dollari ad opera delle autorità statunitensi e britanniche, per avere manipolato i tassi Libor, Euribor e Tibor, utilizzati per fissare il costo dei prestiti fra banche e come riferimento per le operazioni commerciali, come i mutui verso la clientela. Lo scorso marzo Beutsche Bank ha reso noto che il valore della propria attività finanziaria riferibile a derivati è di 52mila miliardi di dollari, duemila volte la capitalizzazione di mercato dell'istituto e oltre 13 volte superiore al Pil della Germania. Così, alla fine dello scorso anno arriva l'annuncio di una pesante ristrutturazione, con tagli alle consulenze e del 9% del personale, oltre al ritiro da dieci Paesi. Le perdite nel bilancio 2015 ammontano a 6,8 miliardi e anche Brexit contribuisce a indebolire Deutsche Bank con un ulteriore flessione delle quotazioni. La bocciatura agli stress test dello scorso 30 giugno ha completato il quadro: il fondo monetario ha chiesto un monitoriaggio sulla gestione del rischio e sull'esposizione tranfrontaliera esprimenfdo forti critiche all'istituto tedesco, che - sottolina l'Fmi nel Financial Sector Assessment Program - risulta la maggiore fonte potenziale al mondo di shock esterni per il sistema finanziario.

Deutsche Bank affonda all’apertura della Borsa di Francoforte. La richiesta di 14 miliardi di euro da parte del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti è un colpo sonoro al colosso bancario tedesco, ma non si può certo dire che sia inatteso. La somma richiesta dagli americani sarebbe un risarcimento legato alla crisi dei mutui subprime, quelli concessi a soggetti che non offrono le garanzie sufficienti, e alla vendita di obbligazioni garantite da debiti (in gergo tecnico, collateralizzate), entrambi alla base della cosiddetta crisi finanziaria globale del 2008. La maggiore banca tedesca, guidata in questa difficile fase di ristrutturazione da John Cryan, è accusata di aver venduto all’epoca titoli “tossici” senza fornire le informazioni necessarie. E nel caso delle obbigazioni collateralizzate, ha evidenziato un’inchiesta del Senato Usa, lo avrebbe fatto anche negli anni successivi alla crisi del 2008.

La richiesta giunta ora dagli Stati Uniti è almeno 5 volte superiore a quella che si aspettava Deutsche Bank (ci si aspettava una proposta di accordo transattivo da circa 2,4 miliardi) e c’è chi insinua il dubbio che si tratti di una forma di reazione americana alla maxi-richiesta di risarcimento fatta dall’Ue a Apple per le tasse non pagante in Irlanda. Il colosso bancario tedesco, stando alle testate di settore, avrebbe reagito con un no secco, lasciando presagire l’avvio di una lunga fase negoziale, non priva di tensioni tra i due Paesi, per ridurre l’etità del risarcimento.

La vicenda ha rieccaso i riflettori su questo gigante finanziario dai piedi d’argilla (Left gli aveva dedicato la copertina del numero del 16 luglio 2016), che sembrava aver superato con poche ammaccature la crisi del 2008 nonostante fosse tra i soggetti più attivi nel mercato dei subprime e delle obbligazioni garantite da debiti (in gergo tecnico, collateralizzate). Ma una serie di scandali e sanzioni negli ultimi anni ne hanno messo in luce le crepe. Nel 2013 dalla Commissione europea è arrivata una multa di 259 milioni di euro, seguita nel 2015 da una stangata da 2,5 miliardi di dollari ad opera delle autorità statunitensi e britanniche, per avere manipolato i tassi Libor, Euribor e Tibor, utilizzati per fissare il costo dei prestiti fra banche e come riferimento per le operazioni commerciali, come i mutui verso la clientela. Lo scorso marzo Beutsche Bank ha reso noto che il valore della propria attività finanziaria riferibile a derivati è di 52mila miliardi di dollari, duemila volte la capitalizzazione di mercato dell’istituto e oltre 13 volte superiore al Pil della Germania.

Così, alla fine dello scorso anno arriva l’annuncio di una pesante ristrutturazione, con tagli alle consulenze e del 9% del personale, oltre al ritiro da dieci Paesi. Le perdite nel bilancio 2015 ammontano a 6,8 miliardi e anche Brexit contribuisce a indebolire Deutsche Bank con un ulteriore flessione delle quotazioni. La bocciatura agli stress test dello scorso 30 giugno ha completato il quadro: il fondo monetario ha chiesto un monitoriaggio sulla gestione del rischio e sull’esposizione tranfrontaliera esprimenfdo forti critiche all’istituto tedesco, che – sottolina l’Fmi nel Financial Sector Assessment Program – risulta la maggiore fonte potenziale al mondo di shock esterni per il sistema finanziario.