A due passi da Mosul lavorano anche degli archeologi italiani, sono qui per documentare, monitorare, tutelare e valorizzare lo straordinario patrimonio minacciato, depredato o in parte distrutto dai jihadisti

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«Quando siamo al lavoro in quell’area, gli elicotteri passano sulla nostra testa, vediamo alzarsi in cielo i pennacchi di fumo e sentiamo le esplosioni», ci racconta Daniele Morandi Bonacossi, docente di Archeologia e Storia dell’arte del Vicino Oriente Antico all’università di Udine e direttore del progetto “Terra di Ninive”. Lungo la linea del fronte di Mosul, oltre ai peashmerga da un lato e al Daesh dall’altro, abbiamo incontrato anche questo gruppo di “archeologi di guerra” italiani. Sono qui per documentare, monitorare, tutelare e valorizzare lo straordinario patrimonio minacciato, depredato o in parte distrutto dai jihadisti nell’area dell’antica capitale dell’impero assiro, Ninive, l’odierna Mosul oggi diventata invece la “capitale” irachena del sedicente Stato islamico.