Un racconto accompagnato da una playlist, così Daniele de Michele aka Donpasta sostiene la campagna di Intersos per la protezione dei bambini vittime della guerra. Fino all'1 ottobre è possibile contribuire con un sms solidale al 45501

Questo racconto accompagnato da una selezione musicale è stato realizzato da Daniele de Michele aka Donpasta per sostenere l’appello di Intersos per la protezione dei bambini vittime della guerra. È possibile contribuire inviando un sms solidale al 45501 fino all’1 ottobre

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Arrivai con una borsetta avvolta in una frigolette.
Era pesante per me, ma fu l’unica cosa che lui mi lasciò.
Lo vidi sparire nel mare, ma prima che ciò accadesse mi lasciò una sacca attorno al collo.
Furono gli occhi l’ultima cosa che vidi scomparire, assieme alla mano, che scivolava lentamente dalla barca in tempesta.
Poi gli occhi, i miei, si bagnarono di lacrime e vidi sempre peggio, le mie urla non mi facevano ascoltare le sue parole, l’abbraccio stretto di una donna fu per proteggermi ma mi tolse la forza di gettarmi con lui, papà.
Cosa ci fosse in quella sacca, ve lo spiego ora, a distanza di pochi anni, sufficienti a farmi diventar grande troppo presto, addolorato per sempre.
Mi chiamo Fela ed ho quattordici anni, ma quando mi ritrovai con quella borsetta in collo ne avevo solo otto. Magari lo conoscete in tanti il mio nome, ma non perché conosciate me, che sono piccoletto.
A distanza di anni, posso dire che quel nome era la causa del dolore. Come se babbo e quel nome fossero in fondo legati da un tragico destino. Ma questo l’ho scoperto solo dopo.
Scoprii sopratutto che fu una maledizione quella sacchetta, perché era la ragione della nostra partenza, origine della rabbia sua, prima, e della rabbia mia, poi.
Ma papà alla partenza mi disse che tutto significava quella sacchetta, che fu l’origine di me, e che io non potevo non portarmela appresso la mia origine.
Cosa c’era in quella sacchetta?
Dischi, 45 giri, sette pollici, non so come li chiamiate.
Ebbene si, sono arrivato senza vestiti, senza soldi, senza papà e la mamma non c’era già più.
Arrivai solo, con una piccola sacca di venti piccoli dischi.
“Faremo festa noi con questi venti dischi al nostro arrivo”, mi disse prima di partire papà.
Quando arrivai non avevo nessuna forza, nessuno spazio dove far festa, nessun piatto dove posare i vinili per fare una festa, ma quel sacchetto era l’unica cosa che avevo e me lo tenni stretto al corpo.
Cosa centra un viaggio con dei dischi? E l’amore? E la rabbia, il dolore, l’assenza?
Semplice, nella sua ingiustizia: Papà amava far le feste e le feste sono fatte di felicità e non tristezze, né rabbia. Ed era un maestro di cerimonia con i suoi dischi.
Perché avere un negozietto di dischi può sembrare una impresa commerciale, di qualcuno che vende un oggetto fisico. No, è un luogo dove la gente va a ballare, almeno questo è quel che vedevo.
E poi quei dischi a papà servivano per far ballare anche fuori, nei baretti.
Quello che mi disse è che l’amore con mamma nacque in una di quelle notti, che mamma era troppo bella e che sapeva ballare troppo bene e che loro si amavano e che mi fecero dopo tanti notti d’amore, che poi magari era proprio alla prima notte d’amore, ma insomma poco importa. Mi disse che l’amore nacque a causa di questa canzone.

Letta M’bulu – What’s Wrong Is Grovin

Poi arrivò dopo la rabbia, in lui prima, ragione della nostra partenza, e ora in me, al mio arrivo.
Ma sapevo anche che io non sarei potuto esser fatto di sola rabbia, perché in quella borsetta c’era l’origine di un amore tra un uomo e una donna che diedero vita a un bimbo, che sono io, Fela.
Ma sapete voi chi fosse Fela Kuti, da cui ricevetti il nome in eredità?
Un rivoluzionario, un uomo che faceva festa, amava tanto, forse male, ma che usava parole di fuoco contro tutti gli ingiusti.
Ecco papà era lo stesso, faceva festa bellissime sotto la luna, la gente era felice, ma tra una canzone e un’altra usava il microfono e urlava e inveiva, e la gente ballava e si infiammava anch’essa.
Ci stavano togliendo ogni cosa, c’erano i cattivi che rubavano, c’erano i cattivi per le strade, noi non avevamo niente e poi vedevi delle grandi macchine con uomini bianchi e neri assieme. E noi niente e niente. Questo diceva papà al microfono.
Solo che quelli non vanno mai per il sottile. Non andarono per il sottile con Fela Kuti tanti anni fa, non andarono per il sottile con papà.
Entrarono nella sera tarda, alla fine, quando erano in pochi. E papà e mamma ballavano, come sempre a fine festa. Io dormivo dietro il bancone del bar.
Mi svegliai per le urla e il dolore, riconobbi le strilla di mamma. Papà lo distrussero di botte e presero lei. Ma quello che vidi dopo non lo ricordo bene, qualcuno mi portò via da li, chiudendomi la bocca perché non strillassi.
Andarono come macellai su mia madre, questo l’ho capito solo ora, perché dopo quella notte io e papà scappammo di corsa, senza di lei, noi e quella sacca ancora piena di sangue.
Papà mi disse che avremmo fatto festa dopo quel viaggio, ma non sorrideva più, si assentava, mi stringeva forte ma non pensava a me, pensava a mamma.
Quando arrivai, qualcuno mi vide solo e con quella sacchetta, con gentilezza la aprì.
C’erano venti vinili, troverete i titoli, in fondo alla mia lettera.
C’era anche una lettera di papà, per fortuna non si rovinò e non si bagnò.
No, non ho più rabbia in corpo, forse sorrido poco.
Ma quell’uomo che mi accolse organizzò una grande festa per me e mi regalò un piatto dove mettere i miei venti dischi, che poi diventarono tanti e poi tanti, perché molti iniziarono a venire alle mie feste.
Allora ricordate sempre che ogni bimbo porta tante cose in cuore.
Io avevo una valigetta, dei dischi e una storia d’amore che mi diede nascita.
E ci fu qualcuno che fu pronto ad ascoltarla.

Dal contenuto della lettera di papà:

Ciao Fela, Amore Mio
Non ho resistito, sono stato un disastro.
Per l’amore a te, l’amore a tua mamma, dovevo star zitto, dovevo star calmo.
Dovevo guardare senza incazzarmi.
Ci sono tante volte in cui anche con il peggio infame è meglio cambiar strada, che tanto loro quella strada se la sono presa militarmente. E tu puoi anche incazzarti, ma loro sono più forti.
L’ho sempre saputo, me lo hanno sempre detto.
Ma io troppo scemo sono stato, egoista.
Pensavo che tutta quella gente a far festa, quella musica, che ci rendeva felici, le danze con tua mamma, il tuo sorriso, ci avrebbero sorriso per sempre.
Stiamo scappando e non so cosa il destino ci riserverà.
Chissà se qualcuno si porrà mai la questione del perché un uomo scappi, del cosa un uomo debba fare per andare via, del dolore da lasciare.
Come un uomo può non capire un altro uomo che ha perso tutto, ha perso l’amore più profondo, ha perso la certezza stessa di essere uomo, al punto di esser pronto a non aver più nulla pur di continuare a esistere in quanto uomo.
Ti porto con me in questo viaggio, conseguenza di un errore e un amore.
Sei il frutto di qualcosa di sacro, tu bimbo io e spero che qualcuno ti proteggerà, perché sappilo, tra te e me, se dovrò salvare qualcuno, sarai tu, costi quel che costi.
Io resterò in te, per sempre.
Tu affidati all’amore che ti ha dato nascita, portalo nei tuoi occhi.
Spera che dall’altra parte del mare ci sarà qualcuno che prima della pietà ne riconoscerà la bellezza.
E poi fagli sentire la nostra musica.
Magari piacerà anche a loro.

Tuo, papà, per sempre.

Una valigetta, dei dischi e una storia d’amore.
La playlist di Donpasta per Intersos