Sfiduciato, Sánchez si dimette dal Psoe. Adesso, il bivio per i socialisti è tra l'investitura al “nemico di sempre” Rajoy e un ritorno al voto entro l'anno. E non è difficile immaginare cosa deciderà il partito dei "barones"

Il «no es no» di Pedro Sánchez al governo di larghe intese con Mariano Rajoy non è piaciuto ai dirigenti del Psoe. Quando, sabato 1 ottobre, il segretario si è presentato al comitato federale del suo partito è stato accolto tra grida, spintoni e insulti. Per 12 lunghe ore. Finché, alle 20,20, i membri del comitato hanno votato a mano alzata la proposta del segretario di celebrare le primarie per l’elezione del segretario generale. Il 23 ottobre, e cioè prima di tornare in Parlamento per tentare di formare un nuovo governo. I socialisti non hanno dato fiducia al segretario, negando così la possibilità di lavorare a un governo del cambiamento con Unidos Podemos e Ciudadanos: in 132 gli hanno votato contro, solo in 107 a favore. Così, a due anni e tre mesi dalla sua elezione a capo del Psoe, Pedro Sánchez si è dimesso da segretario generale.

E adesso? Il partito viene affidato alla gestora, in pratica un commissario collettivo composto da dieci membri che gestiranno il Psoe fino al prossimo congresso (la prima riunione si è tenuta proprio oggi). A presiederla, ci sarà Javier Fernández, presidente della regione Asturias e segretario della federazione del Principado. E i presidenti delle federazioni autonome, fatta eccezione per la presidente delle Baleares, erano tutti critici nei confronti di Sánchez. La frattura tra l’ormai ex leader socialista e quelli che in Spagna vengono chiamati “barones” – su Left in edicola questa settimana vi raccontiamo di loro – è, evidentemente, insanabile. E, fatto fuori Sánchez, nonostante sia Fernández il commissario, è a Susana Díaz che si aprono le porte del Psoe. Con la presidente andalusa si aprono pure le porte a Mariano Rajoy. Ché c’è un pezzo di Psoe che non impallidisce e non arrossisce nel sostenere l’investitura di Mariano Rajoy. Anzi, questo pezzo è la maggioranza, almeno tra i suoi organi dirigenti. Non resta che aspettare il voto della base, come le primarie per esempio, che Sanchez ha continuato a invocare per il 23 ottobre (quindi prima del voto parlamentare,che si terrà entro il 31 ottobre), ma i barones prevedono che il congresso all’inizio del 2017, quindi dopo il voto parlamentare.

 

Il governo del cambiamento che Sanchez avrebbe voluto costruire con Podemos e Ciudadanos, oramai, è un’ipotesi impossibile. Adesso, il bivio per i socialisti è tra l’investitura al “nemico di sempre” Rajoy e un ritorno al voto entro l’anno. E, a questo punto, non è difficile immaginare cosa deciderà il Psoe senza Sánchez. I commissari già fanno sapere che cercheranno in ogni modo di evitare le terze elezioni, coscienti della «gravità istituzionale» che avrebbe un terzo ritorno alle urne in un anno. A sinistra, e lo sa bene Unidos Podemos, adesso si apre una prateria. Una prateria molto simile a quella che in Grecia il Pasok lasciò alla Syriza di Alexis Tsipras. Una prateria che, di questo passo, potrebbe cambiare i connotati della socialdemocrazia europea.

La guerra di Sánchez ai barones spagnoli su Left in edicola dall’ 1 ottobre

 

SOMMARIO ACQUISTA