D'Alema che presenta una riforma alternativa ma lo fa con Quagliariello al suo fianco, e Fini in platea. Renzi che paragona la sua riforma al programma del Pdl del 2013. Il primo, alla fine, è un autogol. Ma il secondo?

L’intenzione di D’Alema e Quagliariello è ottima: bisogna rompere il giocattolo del fronte del Sì, che vuole far passare chi vota No come un nostalgico, un passatista, un «conservatore» – parola che non ha più alcun valore politico, non indica un reazionario, ma è sinonimo di «gufo», «rosicone», dell’idea del «professorone». E per smentire la comunicazione di Renzi&co bisogna assicurare che non è vero ciò che dice la signora dello spot parodiato da Gazebo, non è vero che se vince il No «non cambia nulla».

Bocciata questa si può votare un’altra riforma costituzionale – bisogna dirlo – magari più semplice, che intervenga su alcuni punti mirati e senza toccare decine di articoli. Quale riforma abbiamo provato a raccontarvelo anche noi, insieme a due costituzionalisti, Gaetano Azzariti e Andrea Pertici, sul prossimo numero di Left che troverete in edicola da sabato 15 ottobre. Ma anche D’Alema e Quagliariello hanno tentato di fare la stessa cosa e hanno presentato la mini-riforma da varare in cinque mesi, se vincesse il No.

Taglio dei parlamentari, 400 deputati e 200 senatori, entrambe le Camere mantengono il rapporto di fiducia con il governo. La proposta è buona, una buona base, ma alla fine l’iniziativa è un autogol. Perché – purtroppo – la politica ai tempi dei social ha le sue regole, le ha la sfottòcrazia che ormai viviamo. E già D’Alema e Quagliariello hanno vita difficile in questo clima, ma se poi in platea ci sono Gianfranco Fini e Cirino Pomicino, diventa impossibile.

Fini, Ingroia, Matteoli, Brunetta, Romani, Bernini, Schifani, Malan, Rodotà, Gargani, Zoggia, Mucchetti, Giorgetti, Civati. Molti sono protagonisti degnissimi della vita pubblica e civile dell’Italia, ma per il Sì è facilissimo darsi di gomito. «D’Alema ha riunito Rodotà e Gasparri, i leghisti e Civati, Ingroia e Fini. E poi ha accusato il Pd di aver fatto il partito della nazione», dice ad esempio Matteo Orfini. Replica bene D’Alema: «Non esiste uno schieramento politico del No», dice, «mentre esiste un blocco politico del Sì, il cosiddetto Partito della Nazione, uno schieramento abbastanza minaccioso che va dalla maggioranza di governo ai poteri forti. Capita di avvertire un clima di paura e intimidazione per il quale chi non è d’accordo si deve sentire colpevole di spingere il Paese verso il baratro». Ma non basta. Il merito così viene travolto, spazzato via.

E così alla fine la miglior campagna per il No finisce per farla il comitato per il Sì, che per inseguire i voti della destra pubblica un articolo – diventato subito virale – in cui spiega i punti di contatto tra la riforma del programma del Pdl del 2013 e quella approvata su spinta di Matteo Renzi. Noi pensiamo sia un assist alle ragioni del No. E come noi la pensa – ad esempio – Enrico Rossi («Questa corsa a destra la pagheremo cara», dice a Repubblica), ma non è affatto detto, in realtà. Travaglio si compiace: «BastaunB.», scrive, «con festoso e comprensibile giubilo, il Pd è lieto di comunicare agli eventuali elettori che, sulla Costituzione, sta realizzando il programma di Berlusconi». Ma chissà che non funzioni invece la strategia di Renzi. Che sa che a sinistra saranno più i no che i sì e che quindi deve allargare, portando quanti più elettori di destra, moderati, alle urne di questo complicato referendum senza quorum e senza merito. Tutto – per il momento – gaffe, sfottò e slogan.