Il matrimonio non è visto come l’unica e onnicomprensiva forma di realizzazione di sé. Investire soltanto in un rapporto di coppia o farlo troppo presto può rivelarsi perdente

Dopo essere diventata la relazione strutturante la vita quotidiana degli adulti nelle società sviluppate, per molti abitanti di queste stesse società la coppia è divenuta una condizione intermittente/sequenziale, oltre che assente per larghi tratti della vita adulta. Ciò non significa necessariamente che chi non vive in coppia non stia vivendo una relazione di coppia in forma Lat – living apart together (vivere insieme a distanza) – o che non abbia avuto in passato, o non avrà in futuro, una relazione di coppia. Tra chi non vive in coppia, infatti, si trovano sia persone che non hanno ancora trovato un compagno/a con cui hanno voglia e abbastanza fiducia di condividere la vita quotidiana, che lo hanno fatto, ma la coppia è finita per ragioni diverse (morte, separazione), che hanno un saldo rapporto di coppia con qualcuno con cui, però, non condivide in modo esclusivo e permanente il tetto. E non dobbiamo dimenticare che in Italia, tra i giovani, la vita da single spesso si svolge all’interno della famiglia dei genitori, dato che sono percentualmente pochi i giovani che vanno a vivere per conto proprio prima di, o senza, andare a vivere con un partner.

Se molte di queste vite da single sono tali per necessità, più che per scelta – perché un rapporto è finito, oppure non si è trovato (ancora) qualcuno con cui valga la pena di iniziarlo, o perché la precarietà economica non consente di fare progetti di vita comune – un numero crescente di donne sperimenta l’assenza – definitiva, ma più spesso temporanea – di una vita quotidiana di coppia come una forma di libertà e l’opportunità per investire sulle proprie capacità e progetti non famigliari. Perché sanno dall’esperienza delle loro madri e delle loro coetanee che già vivono in un rapporto di coppia quanto questo possa diventare rapidamente squilibrato nelle aspettative reciproche e quanto siano le donne a perdere più spesso sul piano delle opportunità di autonomia. I dati sull’abbandono dell’occupazione da parte delle donne in Italia a seguito di eventi famigliari come matrimonio e maternità sono eloquenti, così come quelli sulla asimmetria nella divisione del lavoro famigliare gratuito, anche quando la donna è occupata.

Ci sono differenze territoriali e per livello di istruzione, particolarmente forti in Italia: per le donne meno istruite e per quelle che vivono nel mezzogiorno è più difficile accedere al mercato del lavoro anche senza essere coniugate o con figli, e ancora di più quando lo sono. Le loro opzioni sono più ridotte di quelle aperte alle donne più istruite che possono accedere a professioni di qualità e salari decenti. Anni fa, quando erano le convivenze senza matrimonio ad essere individuate come un fenomeno nuovo nelle relazioni tra i sessi, si diceva che si conviveva “per negoziare” rapporti nella coppia meno asimmetrici di quelli che si davano nel matrimonio.

L’articolo di Chiara Saraceno continua su Left in edicola dal 15 ottobre

 

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