Nessun livello inferiore o superiore. Laddove c’è contaminazione sonora, la musica si esprime come riconciliazione. Con i loro rompicapo, i tedeschi Notwist sono l’alternativa alla “dittatura” anglofona. Ne parliamo con il chitarrista Markus Acher

Una nave a tre alberi galleggia e taglia le onde in mezzo alla tempesta, tra grida di gabbiani e lavorìo di marinai, mentre i suoni lontani dell’oceano colpiscono i timpani. Ricordate le grandi avventure di The Sea-Wolf di Jack London? Facevano da sfondo allo scontro di personalità tra il cinico e brutale cacciatore di foche, il capitano Wolf Larsen, e il giovane e sensibile scrittore Humphrey van Weyden salvato da un naufragio ma costretto a lavorare come mozzo. A Weilheim, Monaco di Baviera, i fratelli Markus e Micha Acher immaginavano di salpare, diretti verso quelle avventure, con navi fatte di suoni. Così nascono i Notwist, nel 1989. E «The Notwist è sempre rimasta la madre nave», dice Markus. Che, al timone di voce e chitarra, per questo nuovo album, oltre al fratello Micha al basso, ha caricato a bordo Andi Haberl, Max Punktezahl, Karl Ivar Refseth e Cico Beck. Quelle avventure hanno «scatenato forti raffiche nei nostri cuori, spingendoci verso viaggi immaginari, abbiamo sognato a gonfie vele e con il vento in poppa. Anche se era solo per una o due ore, è stata una grande fuga per luoghi nuovi ed eccitanti». Sul wimmelbook immaginario, come su un nastro di Moebius, la musica dei Notwist non prevede un livello inferiore o superiore, né interno o esterno. Laddove c’è interconnessione sonora, la musica si esprime come riconciliazione tra pop, sperimentale e jazz kraut-infused, tra lo spirito dell’Illuminismo e la giocosità del barocco, modernismo e minimal music, tenendo dentro persino tendenze dub, hip-hop e musica house. Tutto questo è Superheroes, Ghostvillains + Stuff (in uscita il 14 ottobre per Alien Transistor, 2016), il primo live album della band. Nelle 16 tracce, l’acqua che dapprima si presenta come una pericolosa minaccia si trasforma fino ad assumere sembianze di speranza. Il che, nel disco, si traduce con riprese melodiche che si infrangono in euforia. Eccole, le onde alte e le raffiche di vento che i fratelli Acher sognavano ad occhi aperti sulle rive di Weilheim.

«Non dimenticare mai il passato senza però rimanerci legati». Cosa vi siete portati dietro da Monaco 1989?
Beh… nell’89 siamo andati in giro per Monaco con parecchi concerti punk-hardcore, ricordo che ogni settimana andavo al negozio di dischi più vicino. Adesso non ricordo di più, se non che non viviamo più a Monaco… perciò…

Ne parliamo su Left in edicola dal 15 ottobre

 

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