Vincenzo Balzani ha lavorato con gli scienziati che hanno vinto il Nobel per la Chimica ma non è tra i premiati. Il motivo? Lo scarso peso “politico” della ricerca italiana, riflesso della poca considerazione in cui la scienza è tenuta nel nostro Paese. A colloquio col chimico emiliano

Premio Nobel per la Chimica 2016 al francese Jean-Pierre Sauvage (università di Strasburgo), allo scozzese Fraser Stoddart (Northwestern University, Evanston, Stati Uniti) e all’olandese Bernard L. Feringa (università di Groningen) per «la progettazione e la sintesi di macchine molecolari».

Primo dei non eletti, l’italiano Vincenzo Balzani dell’università di Bologna. Molti, non solo in Italia, pensano che Balzani il premio Nobel lo meritasse, come e forse più degli altri tre. Intanto perché con Sauvage e con Stoddart ha lavorato per anni, in maniera complementare, ma assolutamente alla pari. E poi perché delle “macchine molecolari” Vincenzo Balzani è uno dei riconosciuti pionieri. Per cercare di capire perché – ancora una volta – il Nobel non è stato assegnato a un ricercatore italiano, dobbiamo cercare di comprendere cosa sono le “macchine molecolari”. In fondo, è abbastanza semplice a dirsi (un po’ più complesso a farsi). Una macchina è un dispositivo che compie lavoro. Macchina è l’automobile che ci trasporta. Macchina è l’asciugacapelli che utilizziamo dopo la doccia. La grande intuizione di Vincenzo Balzani e del suo gruppo di Bologna è aver capito (e dimostrato) prima di altri, negli anni 80 del secolo scorso, che i concetti macroscopici di “dispositivo” e di “macchina” possono essere estesi a livello molecolare, al livello dei nanometri.

Prendiamo il caso del rotassano, che ha meritato a Stoddart il Nobel. È l’aggregazione di due molecole: una lineare e l’altra ciclica. Simulano, rispettivamente, un filo e un anello. L’anello circonda il filo. E poiché il filo ha due blocchi, in testa e in coda, l’anello non si può sfilare: può andare solo avanti e indietro lungo il filo. Si tratta di un dispositivo nanoscopico che compie un movimento meccanico del tipo di quello che si ha in un pallottoliere.

I catenani, realizzati da Sauvage nel 1983, sono invece aggregati di molecole cicliche infilate l’una nell’altra. E, dunque, sono l’analogo nanoscopico degli anelli di una catena (da cui il nome). Mentre gli “ascensori molecolari”, poi ribattezzati “nanospider”, sono dei veri e propri ascensori. Sono stati descritti da Balzani e Stoddart (e dai loro rispettivi gruppi) su Science il 19 marzo 2004. In parole povere, quelle “molecolari” sono le più piccole macchine del mondo.

Sono il prodotto più avanzato della chimica supramolecolare, ovvero della chimica che – per dirla con Jean-Marie Lehn, premio Nobel per la chimica e maestro di Sauvage – sono «aggregati molecolari di più alta complessità risultanti dall’associazione di due o più specie chimiche legate insieme da forze intermolecolari». Le “macchine molecolari”, in particolare, sono aggregati capaci di compiere movimenti di tipo meccanico e anche di effettuare un “lavoro utile” in maniera reversibile se sottoposti a un’opportuna stimolazione esterna (in particolare mediante la luce).

Spiega Vincenzo Balzani: «Per capire il significato di congegno o macchina a livello molecolare e anche la logica che i chimici devono seguire per costruirli, possiamo ricorrere a un’analogia molto semplice.  Se nel mondo macroscopico un ingegnere vuole mettere a punto un’apparecchiatura come, a esempio, un asciugacapelli, prima costruisce i componenti – l’interruttore, il ventilatore, la resistenza – ciascuno dei quali è in grado di svolgere un’azione specifica e poi li assembla in modo opportuno: nell’asciugacapelli, per esempio, la resistenza va messa davanti al ventilatore, non dietro. Infine l’ingegnere collega i componenti secondo uno schema appropriato e si ottiene un’apparecchiatura che, alimentata da energia, compie una funzione utile. Il chimico procede allo stesso modo, con una complicazione. Deve lavorare non con componenti macroscopici, ma a livello molecolare, cioè nanometrico. Prima di tutto deve costruire molecole capaci di svolgere compiti specifici e poi deve assemblarle in strutture supramolecolari organizzate, in modo che l’insieme coordinato delle loro azioni possa dar luogo ad una funzione utile. Si tratta di una vera e propria ingegneria a livello molecolare».

Per almeno venti anni Balzani (che ora è in pensione) e il suo gruppo agiscono come ingegneri molecolari. E costruiscono “dispositivi” e “macchine” molecolari in grado di svolgere “funzioni utili”. I principi di queste ricerche ed i risultati ottenuti sono presentati in un libro, Molecular devices and machines – A Journey in the Nano World (Congegni e macchine molecolari – un viaggio nel nano mondo) che Vincenzo Balzani, con Alberto Credi e Margherita Venturi, pubblica nel 2003. Del gruppo fa parte anche Nicola Armaroli.

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