Valentina Milluzzo, era una giovane donna siciliana di 32 anni, al quinto mese di gravidanza dopo una fecondazione assistita andata a buon fine. Era incinta di due gemelli. È stata ricoverata il 29 settembre per una sospetta dilatazione dell’utero, dopo giorni è sopraggiunta la febbre, ed è stato diagnosticato qualcosa di strano per uno dei due feti. I parenti riferiscono che, nonostante Valentina urlasse per i dolori, il ginecologo avrebbe dichiarato: «Finché è vivo io non intervengo». Il feto viene estratto dall’utero appena il cuore smette di battere. Il secondo feto, dopo poche ore, esce spontaneamente. Il 16 ottobre Valentina muore. Il primario del reparto, dr. Paolo Scollo, conferma che «i medici sono tutti obiettori e quando è il caso vengono fatti intervenire specialisti esterni. Ma qui siamo di fronte a un aborto spontaneo, non era necessario alcun aiuto esterno» continua, spiegando che c’è stata tempestività nella diagnostica e nessuna responsabilità. Gli ispettori inviati dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin hanno fatto sapere che non c’è stata obiezione di coscienza e che bisogna migliorare la comunicazione con i pazienti.La magistratura è comunque al lavoro sul caso, dopo un esposto della famiglia di Valentina. è inutile negare che un problema c’è. L’abuso del termine obiezione di coscienza anche nei casi in cui non è prevista. «L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo». Questo sancisce l’articolo 9 della legge 194. L’obiezione di coscienza non prevede che il medico o il personale dell’ospedale possano sottrarsi dall’intervenire per la tutela della salute della persona. Se lo fanno, commettono reato. Sono diversi i casi di abuso di questa formula, ad esempio nessuna legge prevede che il farmacista possa dichiararsi obiettore. Come diverse sono le forme di ingerenza operata in modo del tutto ingiustificato nella vita delle donne: emblematico è il caso dell’Asl di Bari che consegna alle donne che hanno appena abortito un documento nel quale si legge «le auguriamo che l’intervento cui è stata sottoposta in data odierna rimanga unico». Oppure ricordiamo V. costretta ad abortire sola in un bagno al cambio turno in ospedale con medico obiettore. [su_divider text="In edicola" style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

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Valentina Milluzzo, era una giovane donna siciliana di 32 anni, al quinto mese di gravidanza dopo una fecondazione assistita andata a buon fine. Era incinta di due gemelli. È stata ricoverata il 29 settembre per una sospetta dilatazione dell’utero, dopo giorni è sopraggiunta la febbre, ed è stato diagnosticato qualcosa di strano per uno dei due feti. I parenti riferiscono che, nonostante Valentina urlasse per i dolori, il ginecologo avrebbe dichiarato: «Finché è vivo io non intervengo». Il feto viene estratto dall’utero appena il cuore smette di battere. Il secondo feto, dopo poche ore, esce spontaneamente. Il 16 ottobre Valentina muore. Il primario del reparto, dr. Paolo Scollo, conferma che «i medici sono tutti obiettori e quando è il caso vengono fatti intervenire specialisti esterni. Ma qui siamo di fronte a un aborto spontaneo, non era necessario alcun aiuto esterno» continua, spiegando che c’è stata tempestività nella diagnostica e nessuna responsabilità.
Gli ispettori inviati dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin hanno fatto sapere che non c’è stata obiezione di coscienza e che bisogna migliorare la comunicazione con i pazienti.La magistratura è comunque al lavoro sul caso, dopo un esposto della famiglia di Valentina.
è inutile negare che un problema c’è.
L’abuso del termine obiezione di coscienza anche nei casi in cui non è prevista. «L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo». Questo sancisce l’articolo 9 della legge 194. L’obiezione di coscienza non prevede che il medico o il personale dell’ospedale possano sottrarsi dall’intervenire per la tutela della salute della persona. Se lo fanno, commettono reato. Sono diversi i casi di abuso di questa formula, ad esempio nessuna legge prevede che il farmacista possa dichiararsi obiettore. Come diverse sono le forme di ingerenza operata in modo del tutto ingiustificato nella vita delle donne: emblematico è il caso dell’Asl di Bari che consegna alle donne che hanno appena abortito un documento nel quale si legge «le auguriamo che l’intervento cui è stata sottoposta in data odierna rimanga unico». Oppure ricordiamo V. costretta ad abortire sola in un bagno al cambio turno in ospedale con medico obiettore.

Questo editoriale lo trovi su Left in edicola dal 29 ottobre

 

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