Pechino non ha apprezzato la manifestazione di dissenso proveniente da Hong Kong. Seppure amministrativamente e politicamente indipendente, la regione subisce tutt'oggi il decisionismo cinese. É finita infatti con l'esclusione dal Parlamento dei due giovani deputati indipendentisti che in occasione della cerimonia di insediamento, si erano rifiutati di prestare giuramento alla Repubblica popolare cinese. I due ragazzi, si erano presentati srotolando bandiere con scritto "Hong Kong non è la Cina" e avevano provocatoriamente pronunciato il nome "Cina" col dispregiativo «Chee-na» utilizzato dai giapponesi al tempo dell'occupazione. Una mossa che non è piaciuta alla Potenza destinataria. [caption id="attachment_89115" align="aligncenter" width="1024"]Youngspiration's Yau Wai-ching (C) unfurls a flag that reads 'Hong Kong is not China' during the oath taking session for new legislators at the Legislative Council in Hong Kong, China, 12 October 2016. Yau is one of two newly elected lawmakers advocating higher autonomy for the city. EPA/JEROME FAVRE Yau Wai-ching srotola la bandiera con scritto 'Hong Kong non è la China' durante la sessione di insediamento della nuova legislatura del Legislative Council di Hong Kong, 12 October 2016. EPA/JEROME FAVRE[/caption] Nonostante Yau Wai-ching (25 anni, la più giovane eletta della città) e Sixtus Leung, 30 anni, entrambi del partito Youngspiration, siano stati democraticamente eletti e per giunta con una valanga di voti, e nonostante il sistema politico sia completamente diverso da quello della Cina continentale ricalcando invece la Common Law britannica; e soprattutto nonostante Hong Kong dovrebbe restare - stando agli accordi del 1997 fra l'ex potenza coloniale britannica e la Cina - Regione amministrativa speciale, semi-libera, fino al 2047; il governo centrale di Pechino ha sentenziato che i due ragazzi non potranno entrare in carica nel Legislative Council, il Parlamento della City. La decisione era stata demandata alla magistratura territoriale, ma l’Assemblea nazionale del popolo di Pechino l'ha scavalcata, comunicando il suo giudizio: i due deputati «rappresentano una grave minaccia alla sovranità e alla sicurezza nazionale della Repubblica popolare cinese». Una prepotenza senza precedenti che riaccende le tensioni fra i due Stati. Domenica infatti, migliaia di persone sono scese in piazza contro le ingerenze cinesi. Protesta che è stata sedata con lo schieramento di duemila agenti re qualche arresto. Mentre CY Leung il capo dell’esecutivo di Hong Kong, filo-cinese, ha già annunciato una svolta dura, con il varo di una legge anti-sovversione. Ma la mobilitazione riaccende la divisione fra democratici che sognano una secessione reale e filo-cinesi già esplosa due anni fa con i 79 giorni di mobilitazione di massa. L’intervento di Pechino è ora diventata anche una questione di giurisprudenza, perché andando contro al principio “un Paese, due sistemi” siglato vent'anni fa, rimette in discussione il futuro dello stato di diritto nell’ex colonia britannica.  

Pechino non ha apprezzato la manifestazione di dissenso proveniente da Hong Kong. Seppure amministrativamente e politicamente indipendente, la regione subisce tutt’oggi il decisionismo cinese.
É finita infatti con l’esclusione dal Parlamento dei due giovani deputati indipendentisti che in occasione della cerimonia di insediamento, si erano rifiutati di prestare giuramento alla Repubblica popolare cinese.
I due ragazzi, si erano presentati srotolando bandiere con scritto “Hong Kong non è la Cina” e avevano provocatoriamente pronunciato il nome “Cina” col dispregiativo «Chee-na» utilizzato dai giapponesi al tempo dell’occupazione. Una mossa che non è piaciuta alla Potenza destinataria.

Youngspiration's Yau Wai-ching (C) unfurls a flag that reads 'Hong Kong is not China' during the oath taking session for new legislators at the Legislative Council in Hong Kong, China, 12 October 2016. Yau is one of two newly elected lawmakers advocating higher autonomy for the city. EPA/JEROME FAVRE
Yau Wai-ching srotola la bandiera con scritto ‘Hong Kong non è la China’ durante la sessione di insediamento della nuova legislatura del Legislative Council di Hong Kong, 12 October 2016. EPA/JEROME FAVRE

Nonostante Yau Wai-ching (25 anni, la più giovane eletta della città) e Sixtus Leung, 30 anni, entrambi del partito Youngspiration, siano stati democraticamente eletti e per giunta con una valanga di voti, e nonostante il sistema politico sia completamente diverso da quello della Cina continentale ricalcando invece la Common Law britannica; e soprattutto nonostante Hong Kong dovrebbe restare – stando agli accordi del 1997 fra l’ex potenza coloniale britannica e la Cina – Regione amministrativa speciale, semi-libera, fino al 2047; il governo centrale di Pechino ha sentenziato che i due ragazzi non potranno entrare in carica nel Legislative Council, il Parlamento della City. La decisione era stata demandata alla magistratura territoriale, ma l’Assemblea nazionale del popolo di Pechino l’ha scavalcata, comunicando il suo giudizio: i due deputati «rappresentano una grave minaccia alla sovranità e alla sicurezza nazionale della Repubblica popolare cinese».

Una prepotenza senza precedenti che riaccende le tensioni fra i due Stati. Domenica infatti, migliaia di persone sono scese in piazza contro le ingerenze cinesi. Protesta che è stata sedata con lo schieramento di duemila agenti re qualche arresto. Mentre CY Leung il capo dell’esecutivo di Hong Kong, filo-cinese, ha già annunciato una svolta dura, con il varo di una legge anti-sovversione. Ma la mobilitazione riaccende la divisione fra democratici che sognano una secessione reale e filo-cinesi già esplosa due anni fa con i 79 giorni di mobilitazione di massa.

L’intervento di Pechino è ora diventata anche una questione di giurisprudenza, perché andando contro al principio “un Paese, due sistemi” siglato vent’anni fa, rimette in discussione il futuro dello stato di diritto nell’ex colonia britannica.

 

Impicciarsi di come funzionano le cose, è più forte di lei. Sarà per questo - o forse per l'insanabile e irrispettosa irriverenza - che da piccola la chiamavano “bertuccia”. Dal Fatto Quotidiano, passando per Narcomafie, Linkiesta, Lettera43 e l'Espresso, approda a Left. Dove si occupa di quelle cose pallosissime che, con suo estremo entusiasmo invece, le sbolognano sempre: inchieste e mafia. E grillini, grillini, grillini. Dalla sua amata Emilia-Romagna, torna mestamente a Roma, dove attualmente vive.