New York – Per un anno abbiamo parlato della storia sbagliata. Sottovalutato la rabbia e la disillusione che covava nel profondo dell’America, che decade da molti anni e a cui nessuno ha saputo dare una risposta. Donald Trump ha vinto la presidenza degli Stati Uniti negli Stati dove non ci si immaginava avrebbe vinto, più e meglio di quanto chiunque – persino lui e i suoi strateghi – potessero prevedere. In una corsa nella quale entrambi i candidati non erano apprezzati, più persone hanno creduto in quello che gli ha raccontato le cose con il loro linguaggio, che ha solleticato le loro frustrazioni e promesso un mondo che non esiste, ma è migliore di quello in cui vivono.
La fatica e il disorientamento degli elettori di Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, Ohio, Stati che erano tutti democratici e che Trump ha vinto o perso di un soffio, hanno prevalso sullo status quo clintoniano. Il soffio che è bastato a portare il miliardario newyorchese senza nessuna esperienza politica alla presidenza degli Stati Uniti.
Il Paese che ci consegnano queste elezioni è più spaccato di quello ereditato da Obama: in 24 anni, sei presidenze, il confronto tra i due partiti si è inasprito, le distanze sono aumentate, ogni presidente ha promesso di unire senza riuscirci. Dopo la rivolta di Obama contro Clinton e il modo di funzionare di Washington e quella del Tea Party contro Obama nelle elezioni di mezzo termine del 2010, siamo a una nuova insurrezione dell’elettorato americano. Prima delle basi democratica e repubblicana contro i loro partiti, con i successi totalmente inaspettati di Bernie Sanders e dello stesso Donald Trump, poi con il ribaltamento di tutte le previsioni possibili.
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