L'ultima strategia elettorale di Renzi, che non si fa più fotografare con la bandiera europea e si paragona a Trump, è far credere che cosa più anti-establishment da fare sia votare Sì al referendum. Dare cioè ragione all’establishment. Ma è possibile?

Da Fabio Fazio Matteo Renzi ha detto: «Penso che Trump abbia interpretato il cambiamento in maniera più radicale di Clinton. C’è l’ansia di cambiare e io comprendo questo bisogno di cambiare ma mi chiedo chi in Europa e in Italia rappresenti davvero questo bisogno, chi sia davvero anti-establishment». È questa l’ultima versione della sua strategia elettorale, per l’ultimo sprint in vista del 4 dicembre. Il teorema è che in Italia il cambiamento sia quello impresso da palazzo Chigi e non dai vari Salvini e Beppe Grillo. Trump, in Italia, è insomma già al governo, ma non è razzista e non ha i capelli arancioni. Questo è ciò che lascia intendere l’analisi del voto che si fa trapelare dagli uffici di palazzo Chigi: «Anche in Italia come in America la sfida è su chi incarna il cambiamento, così come è toccato a Trump rispetto a Clinton».

Che l’anti-establishment sia in realtà l’establishment – chi cioè controlla il governo, il sotto governo, e lo fa con l’appoggio del più dell’industria italiana – è già una cosa curiosa. Quello che però non si capisce è come possa Renzi essere al tempo stesso il Trump nostrano e l’anti Trump europeo, come cioè le sue riforme (e alcune delle sue pose elettorali, tipo l’aver tolto le bandiere europee da ogni conferenza stampa) possano essere un argine a eventuali sorprese elettorali, all’avanzata di una forza populista che – per come a palazzo Chigi intendono il populismo (tema a cui noi di Left dedicheremo la prossima copertina) – ha da noi
il volto di Beppe Grillo o Salvini.

Perché quello che verrebbe da pensare è che proprio la vittoria del Sì spiani in realtà più la strada allo scenario tanto temuto. Non è infatti così campato in aria né pretestuoso, il timore più volte espresso da Pier Luigi Bersani. Che si dice incredulo di «come faccia Renzi a non vedere quel che sta succedendo in Europa e nel mondo». «Come fa a non sentire quel che ribolle sotto di noi?», si chiede l’ex segretario dem: «Si comporta da irresponsabile. E se vince il Sì e lui tira dritto, senza cambiare l’Italicum andiamo a finire contro un muro».

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.