I medici di famiglia sono 45mila e vivono una fase difficile. Tra riordino dell’assistenza primaria, contratto bloccato, linee guida sempre più strette. Una categoria dove i sindacati più forti dettano legge

Chiusi nei loro ambulatori o in giro per le visite a domicilio, i medici di famiglia sono decisamente una categoria silenziosa. E paziente. Se la devono vedere con le malattie – e a volte anche con i problemi sociali – dei loro assistiti, ma anche con montagne di moduli da riempire, guardati a vista dalle Asl che inflessibili li controllano sul numero di ricette o visite specialistiche che prescrivono. Non ultimo è arrivato il decreto appropriatezza del ministro Lorenzin che li ha fatti infuriare, perché limitando esami specifici, dicono, la prevenzione va a farsi benedire.

I medici di medicina generale, questa la dizione esatta, sono gli eredi del vecchio, ingiusto e insostenibile sistema delle mutue, spazzato via nel 1978 dalla riforma del Sistema sanitario nazionale. Non sono né liberi professionisti né dipendenti, sono convenzionati, e nel corso degli anni, come afferma lapidario Ivan Cavicchi, docente a Tor Vergata e esperto di politiche sanitarie, «hanno perso tutte le loro battaglie». Sono 45mila ma la loro voce non si sente.

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Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.