Luciano Canfora non ha dubbi: «La riforma non risponde a un progetto intellettuale, sia pure perverso». A Renzi serve solo per segnare un successo personale e governare fino al 2023

Basta un sì contro l’immobilismo, basta un sì per ridurre i costi della politica recitano gli slogan renziani. «Questa è una riforma che rottama la casta», ha detto il premier intervistato dal Quotidiano nazionale.
«Contro gli sprechi», «contro il ceto attaccato alla poltrona», dice il presidente del Consiglio nonché segretario del Pd, forte dell’accordo firmato con la minoranza interna al suo partito per cambiare l’Italicum dopo il referendum (benché la legge elettorale con tutta evidenza non sia nella disponibilità del solo Pd).

Mentre si accendono i toni della campagna elettorale, abbiamo chiesto a un fine interprete della storia come Luciano Canfora di aiutarci a leggere il pensiero che sorregge la riforma costituzionale Renzi-Boschi-Verdini. «Lei pensa che ci sia una cultura sotto questa riforma?» ribatte ironico il filologo dell’Università di Bari. «In questi mesi io sono giunto a una conclusione: questa riforma è palesemente peggiorativa soprattutto per quel che riguarda il Senato, ma è anche, tutto sommato, strumentale».

Strumentale per chi e a che fine, professor Canfora?

Non è che Renzi voglia fare chissà quale trasformazione vera, effettiva. Vuole vendere questa vicenda come un trionfo personale e governare fino al 2023. Detto altrimenti, interviene sulla Costituzione, manipolandola e peggiorandola, per una questione estrinseca: vincere le prossime elezioni. Non c’è una cultura ispiratrice.

L’intervista continua su Left in edicola dal 26 novembre

 

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