Proteste di piazza e scandali, pessimo gradimento e dimissioni dei suoi ministri, e adesso anche una richiesta di impeachment per il presidente brasiliano Michel Temer

Proteste di piazza e scandali, pessimo gradimento e dimissioni dei suoi ministri, e adesso anche una richiesta di impeachment per il presidente brasiliano Michel Temer. Il suo governo, nato all’indomani della cacciata di Dilma Rousseff è ritenuto golpista da molti brasiliani.

Lo scandalo in questione riguarda le pressioni che l’ex ministro Geddel Vieira Lima, incaricato delle relazioni con il Congresso, faceva sul ministro della Cultura per approvare la costruzione di un edificio con appartamenti di lusso in una zona protetta di Salvador de Bahia. Due settimane fa, sul tavolo di Michel Temer, sono arrivate le dimissioni del ministro della Cultura, Marcelo Calero, mentre al posto del centrista Vieira Lima è stato nominato il socialdemocratico Antonio Imbassahy. «Un golpe dentro il golpe» denunciano le opposizioni.

E così, l’8 dicembre i Movimenti sociali brasiliani hanno protocollato alla Camera dei deputati la richiesta di impeachment contro il presidente Michel Temer: ha commesso un crimine di responsabilità, scrivono i firmatari, per non aver preso provvedimenti contro il ministro Geddel Vieira Lima. «Abbiamo avuto un impeachment senza crimine, non possiamo permettere che un crimine rimanga senza impeachment». Il riferimento è al colpo di mano nei confronti di Dilma Rousseff, destituito dalla carica di Presidente della Repubblica brasiliana.

Il pacchetto di riforme neoliberiste del governo Temer: tagli indiscriminati all’educazione e alla sanità pubblica, riforma del lavoro, esternalizzazione dei servizi, riforma dell’istruzione secondaria e della sicurezza sociale, la proposta di emendamento costituzionale 241/2016, che stabilisce un tetto sulle risorse pubbliche da destinare alle politiche sociali per i prossimi vent’anni. Poi, l’imminente avvio di un ampio piano di privatizzazioni, in linea con le imposizioni di Washington: in altre parole, è prevista la svendita di quel patrimonio pubblico che fu il volano del boom economico brasiliano durante gli anni della presidenza Lula. E i provvedimenti in agenda hanno un’ampia maggioranza tra gli scranni del Parlamento, la prima approvazione in Senato è già avvenuta il 30 novembre: 61 favorevoli e 14 contrari. Ma non è così nel Paese.

Da mesi le strade di San Paolo, di Rio e delle altre città carioca sono attraversate da imponenti manifestazioni contro il governo. L’ultima, oceanica, il 27 novembre, quando alla chiamata del Movimento dei Lavoratori, del Partito dei Lavoratori e dei Contadini senza terra, hanno risposto milioni di brasiliani. Cittadini, artisti e movimenti sociali latinoamericani continuano a protestare contro il processo golpista dei settori reazionari del Paese contro Dilma Roussef. Quel giorno, a San Paolo, al fianco dell’ex presidente brasiliano Lula da Silva, c’è anche l’ex presidente uruguayano José “Pepe” Mujica. È un chiaro monito ai leader progressisti latinoamericani, ritrovare l’unità d’azione per fronteggiare l’avanzata feroce del neoliberismo nella Regione.

Infine, a ribadire che con le nuove misure del governo Temer si rischia un forte arretramento dei diritti in Brasile ci sono anche i vescovi brasiliani della Commissione episcopale per il Servizio alla carità, giustizia e pace, organismo che opera nell’ambito della Conferenza episcopale brasiliana. Le misure del governo, scrivono i vescovi: «mettono a repentaglio i diritti sociali del popolo brasiliano, specialmente dei più poveri».