In parlamento e nel Pd, in quanti vorrebbero finire la legislatura? In tanti, compreso Renzi. E, più che per il vitalizio - non siate maligni - vorrebbero restare per ragioni congressuali. Lo scenario della seconda giornata di consultazioni

Entro lunedì, questo dicono tutti, si dovrebbe risolvere la crisi. Così vorrebbe almeno Sergio Mattarella (ma così vogliono in tanti). Come, però, ancora non si sa.

Anche se ci sono un po’ di indizi, che arrivano tutti, per il momento, da fuori il Quirinale: le consultazioni infatti sono state ieri istituzionali (Grasso, Boldrini e Napolitano) e oggi minori, con il peso maggiore, entrato nell’ufficio delle vetrate, rappresentato da Giorgia Meloni e dalla Lega, non certo determinanti (né disponibili) alla nascita di un qualsivoglia governo.

Domani sarà invece la giornata di 5 stelle, Forza Italia e Pd e allora sì che avrà senso seguire le dirette tv, la maratona di Mentana o quella che preferite. Per ora dunque, meglio guardarsi intorno, leggere bene i giornali e guardare, più che al Colle, alle dichiarazioni delle varie anime dem, e a palazzo Chigi, dove, ad esempio, si sono riuniti nella tarda mattinata Matteo Renzi, Giancarlo Padoan e Paolo Gentiloni, per un vertice. L’uscente – cioè – e due dei papapili più gettonati: con il secondo, il ministro degli Esteri, Gentiloni, schizzato improvvisamente al primo posto, perché – si può dire guardandolo da ottica renziana – antidoto “politico” al rischio Franceschini.

Se infatti, come abbiamo già scritto, per Renzi lo scenario peggiore sarebbe quello di un governo fortemente politico, con un primo ministro che possa prenderci gusto e magari pensare di far dimenticare Renzi come Renzi ha fatto dimenticare Letta (e Franceschini risponde al profilo, anche se per ora si mostra disinteressato e ricorda di aver sempre detto che Renzi non si sarebbe dovuto dimettere), Gentiloni rappresenta la giusta via di mezzo tra quello e un governo di pura “responsabilità”, alla Grasso, improbabile se legato all’idea di una maggioranza “costituzionale”, che unisca il fronte del Sì e quello del No. Non è un caso che Renzi non si stia affatto preoccupando di far montare il nome di Gentiloni. Alla fine, non gli dispiacerebbe.

È Gentiloni (o un Gentiloni), infatti, l’alternativa che consentirebbe a Renzi di evitare l’altra via d’uscita, il Renzi bis, altra strada possibile per far calare il rischio di finir rottamati – strada che piacerebbe molto ad alcuni renziani di ferro, ma che costringerebbe Renzi a un’ennesima clamorosa smentita. Il sindaco d’Italia che aveva giurato sarebbe arrivato a palazzo Chigi solo passando per il voto popolare e non «attraverso giochi di palazzo», a quel punto, non solo ci sarebbe arrivato «attraverso giochi di palazzo» ma, «attraverso giochi di palazzo», ci resterebbe pure, avendo peraltro detto più volte di esser pronto a cambiare mestiere. A livello di comunicazione: un disastro.

È Gentiloni che potrebbe così accontentare tutti (tranne i giovani Turchi, forse, che temono di restare fregati con un ridimensionamento, pur temporaneo, di Renzi). Potrebbe far stare un pelo più tranquillo Renzi (convinto così di potersi sganciare dal governo e rigenerarsi) e darebbe ragione a tutti quelli che al voto non vogliono andare, che sono i più. E non solo per il vitalizio, come già si maligna sui social. Il punto è che nel Pd è già cominciato il fuggi fuggi generale (così come è cominciato tra gli editorialisti dei giornaloni). E che con Franceschi, ovviamente, ma anche con Gentiloni (sostenuto dalla stessa maggioranza di Renzi, a prescindere dall’allargamento a Berlusconi), si può guadagnare un po’ di tempo.

Quanto? Qui le speranza divergono nuovamente. Alcuni, quelli che non vogliono fare un congresso lampo, sperano fino al 2018, altri – i renziani – vorrebbero a quel punto, rifatte pure le primarie, metà 2017: giugno 2017. Nella speranza (ancora una volta) che il vento “populista” passi; nella certezza che, almeno, cambieranno i rapporti di forza nel Pd. Ma in favore di chi?

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.