«L'artista è il fool shakesperiano, intuisce prospettive nuove e mette a nudo l'invisibile» dice lo scultore e architetto anglo-indiano a cui il Roma dedica una importante retrospettiva

Uno dei maggiori artisti contemporanei, Anish Kapoor torna ad esporre in un museo italiano con una mostra negli spazi del Macro a Roma, dal 17 dicembre al 17 aprile. In occasione del vernissage di questa importante retrospettiva curata da Mario Codognato ecco l’interivista di Left realizzata nella Galleria Continua di San Gimignano, che già molti anni fa ha avuto il merito di presentare l’artista anglo-indiano al pubblico italiano.

Il suo “fagiolo”,  sinuosa scultura specchiante, ha rivoluzionato il  Millennium Park di Chicago riflettendo l’immagine dei passanti a testa in giù.  Le sue sculture che moltiplicano le prospettive, hanno aperto alla fantasia gli ordinati giardini di Versailles.  Giocando sugli opposti – concavo e convesso, femminile e maschile, luce e ombra – Anish Kapoor ha portato un bello scompiglio nel parco della reggia francese, ridisegnandone il volto. «Versailles è un oggetto matematico quasi perfetto, costruito con un’accuratezza quasi ossessiva. Per un artista è un luogo estremamente difficile con cui confrontarsi», raccontava a Left l’artista anglo-indiano, l’anno scorso. E a chi, scandalizzato, non ha gradito la sua profanazione del sacro rigore illuminista giudicando troppo espliciti i richiami a forme intime femminili, Kapoor risponde divertito evocando la polisemia dell’arte e la propria libertà di ricerca. Che negli ultimi trent’anni lo ha portato a realizzare sculture di puro pigmento colorato ma anche architetture che assomigliano e gigantesche sculture come The Orbital Tower a Londra e poi raffinate sculture (dette «non oggetti») che mettono in relazione gli opposti, forme pure e seducenti che invitano ad esplorare il buio, la profondità, ciò che ci appare come diverso e sconosciuto. Come il misterioso incavo nero che mesi addietro accupava tutta una parete della Galleria Continua a San Gimignano (ricavata da un vecchio cinema anni ’50): un gigantesco schermo scuro che tuttavia appariva vivo e animato. Dove una volta era la platea  si apriva un travolgente vortice di acque nere, un gorgo insieme spaventoso e affascinante accompagnato da incessante rumore di fondo. Quest’opera, intitolata Descension, era al centro dell’ultima, emozionante, personale che la galleria toscana dedicava un anno fa a questo grande artista capace di far incontrare Oriente e Occidente, di fondere scultura, pittura e architettura in eleganti e visionarie creazioni. A San Gimignano rappresentate da alcune storiche opere specchianti, da sculture trasparenti e da nuove sculture in alabastro innervate di rosso e dalle superfici scabre, mobili, non levigate. Alcune delle quali saranno dal 17 dicembre in mostra al Macro di Roma, insieme ad inediti.  Nelle mani di Kapoor anche il marmo e la pietra sembrano perdere la loro materica e ottusa pesantezza. Mentre giochi di sculture concave e convesse aprono le sale a una spazialità nuova, immaginifica, imprevista.
«Il mio lavoro è sempre stato un tentativo di far emergere delle forme latenti, che invitino ad andare oltre le superficie delle cose»,dice Anish Kapoor che Left ha incontrato a San Gimignano. «Ma- aggiunge – mi attrae anche l’idea di “pelle”, come membrana porosa che mette in relazione interno ed esterno e al tempo stesso li separa e li definisce.
Anche l’attenzione verso l’universo femminile traspare dalla sua ricerca. Non solo per le forme morbide delle sue sculture.
Mi affascina moltissimo. Trovo in voi donne una sensibilità e un’ intelligenza diversa. Credo che rappresentiate davvero il futuro! Il mio lavoro forse riflette tutto questo. Ma anche la mia allergia all’idea di vecchio eroe di stampo greco e germanico che “porta la luce”, (Ercole, Ulisse ecc). Un’identità maschile più moderna ha lati tenebrosi, è sensibile, conosce l’incertezza, sa lasciarsi andare. Un’opera moderna offre una pluralità di prospettive. Oggi però rispuntano fanatismi religiosi che vorrebbero imporre una prospettiva univoca. Non a caso ci appaiono così medievali e ferocemente antiquati.
Il suo vortice, specie nella prima versione con le ringhiere, mi ha fatto pensare a ciò che è diventato il Mediterraneo per i migranti. Che cosa pensa delle politiche europee a riguardo?
L’Europa sta rispondendo ai migranti in modo disumano. Inaccettabile Quelli che parlano di Europa invasa dai migranti sono dei pazzi. Io sono un immigrato. L’emigrazione riguarda tutti, è solo una questione di epoche storiche. Che i migranti siano un pericolo per l’economia europea è un’invenzione per spargere paura. Ho idea che la verità sia l’esatto contrario.
L’arte può aiutare a cambiare la mentalità?
Molti dicono che gli esperti e i tecnici troveranno una soluzione per la fame nel mondo, per la tutela dell’ambiente ecc. Non so se accadrà. Ma una risposta potrebbe venire anche da altri ambiti, perché no? Forse proprio dall’arte. E da progetti creativi, irrazionali. Ciò che caratterizza l’artista è l’intuizione di una possibilità, una sensibilità poetica per qualcosa che può accadere, che può essere. Perlopiù fare arte vuol dire fare cose inutili e irrazionali. Perché bucare il pavimento per costruire un vortice? Perché quel mio modo di lavorare la tela dovrebbe dire qualcosa a qualcuno? Eppure qualcosa accade: è uno strano momento di possibilità illogiche. Le migliori cose avvengono senza premeditazione.
Perché le sue sculture non sono piene e intonse come quelle di Brancusi (che in parte evocano) ma presentano delle aperture?
Anni fa mi interessava il tema del vuoto. Poi sono giunto alla conclusione che il vuoto non esiste. Il momento che precede la creazione non è vuoto. E c’è una straordinaria potenzialità in un oggetto che è apparentemente vuoto. I miei “non oggetti” sono cose che contengono qualcosa di invisibile. La fisica, per esempio, parla di materia oscura, la gran parte della massa è invisibile. Anche la scultura si comporta così.
Importante nel suo lavoro è anche il colore.
È una cosa molto strana, il colore: rende lo spazio più grande, lo cambia, lo crea addirittura. Il colore non è un aggettivo neutro. Non è un semplice rivestimento, non copre. Assomiglia all’acqua che ti bagna sotto la doccia. È una qualità poetica, crea una condizione interiore, cambia la percezione del tempo. Il colore è molto più nella nostra mente che nei nostri occhi.
Il nero di Caravaggio, come è stato notato, è ben diverso da quello di Raffaello.
Esattamente! Dunque il nero non è solo nero. Il nero può essere vivo, vitale, oppure piatto. Il nero è la morte, l’angoscia, ma allo stesso tempo è super chic, evoca un’eleganza non solo materiale. Molti colori hanno questa possibilità. Si ha la sensazione che i colori esprimano qualcosa di interiore
Ho letto che lei sta sperimentando con il vantablack, di che si tratta?
È un tipo di nero inventato da uno scienziato inglese: si tratta di una sorta di una nano paint che assorbe il 98 per cento della luce. Si pensa che sia il materiale più nero di tutto l’universo dopo i buchi neri. Mi piace l’idea di provarlo. La tecnologia a volte ci permette nuove possibilità di pensare, una nuova visione.
Il suo rosso così vivo ha al fondo qualcosa di scuro. Perché ?
Di solito si dice che il colore riflette se stesso nella luce. Questa è la teoria tradizionale. Turner, Monet, sono tutti artisti della luce. Ma poi c’è stato Rothko. E altri (ma non tanti direi) per i quali il colore ha un quantum di scuro. E questo a me interessa moltissimo proprio perché mi piace creare delle forme. Il rosso in particolare ha qualcosa di molto più scuro di altri colori, più del blu o del nero. Immagino l’interno del nostro corpo come scuro e rosso. Rosso è il sangue. Così come rosso è il colore che associo alla nascita».
Che rapporto ha con lo spettatore?
Questo è un grosso nodo dell’arte ma se vogliamo ha una risposta semplice. Non puoi fare arte pensando al pubblico, non puoi indirizzare lo spettatore, quello è l’intento di Hollywood. L’arte non è intrattenimento, non è Disneyland, mi pare assolutamente chiaro. Devi farlo per te stesso. E se funziona su di te può funzionare anche su altri. L’arte esprime qualcosa di universale che unisce tutte le persone. La cosa affascinante è proprio questa: non esiste un’arte inglese, tedesca ecc. Certo, io sono di origini indiane, ma nel mio bagaglio c’è questo e insieme altro. Diciamo che Picasso era spagnolo ma non è la cosa più importante. Il punto non è da dove viene un artista ma quanto è originale, ampia e aperta la sua visione, quanto è forte la sua fantasia.
Lei ha collaborato con Ai Weiwei. È tempo per gli artisti di rompere il silenzio sulla censura che continua ad esistere in Cina e altrove, nel nuovo millennio?
Tante cose certamente sono cambiate, ma non abbastanza. E dovremmo farci sentire di più. In quanto artisti agiamo nello spazio pubblico e siamo necessariamente delle figure pubbliche. Non puoi pretendere che non sia così. Dobbiamo fare massa critica dicendo con forza che non è più possibile accettare la censura. Dopo così tanti anni Ai Weiwei ancora oggi non può uscire dalla Cina. Perché? Cui prodest? Aiuta la Cina? Non mi sembra. Ci sono molti artisti coartati anche in altre parti del mondo. È nostro dovere sollevare queste e altre domande scomode.
L’artista ha il compito di sfidare l’opprimente Leviatano che lei immaginò al Grand Palais?
Mi piace pensare all’artista come «l’idiota» di Dostoevskij, come un folle, alla Shakespeare. In quel momento di foolish immagination c’è qualcosa di straordinario. Per questo dico che ciò che non so è molto più interessante di ciò che so. Perché apre una sfida con te stesso. L’arte è un gioco serio che amplia il raggio delle possibilità.

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Anish Kapoor Bilbao
Anish Kapoor Bilbao