Povertà in aumento, disoccupazione e precarietà, il Mezzogiorno lasciato a se stesso. L’Italia che fa i conti con la crisi fatica a far politica ma chiede a gran voce il cambiamento. «Come è avvenuto il 4 dicembre», spiega il sociologo Roberto Biorcio

Dietro ai circa 20 milioni di No al progetto di revisione costituzionale di Matteo Renzi c’è un Paese vero, in carne e ossa, e non è quello narrato dai tg e dalla stampa mainstream. E nemmeno quello emerso dall’autocritica del premier all’assemblea Pd di domenica scorsa. È un’Italia che sta male, con picchi di disagio al Sud e tra i giovani, che non si è affatto ripresa dalla crisi. Secondo i dati forniti da Istat nel Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) 2016, a fronte di una leggera stabilità nelle condizioni minime economiche aumentano i cittadini in povertà (oltre 4 milioni e mezzo contro i 2 milioni del 2005), che nel Sud sono triplicati (il 34% dei residenti) rispetto al Nord. Il tasso di occupazione, anche se registra un +0,6 punti rispetto al 2014 è ben lontano da quello europeo che registra una crescita di 8 decimi, con il ritorno ai livelli del 2008, pre crisi.
Gli ultimi dati Inps peggiorano il quadro: volano i voucher (+32%) e diminuiscono i lavori stabili, anche perché gli incentivi alle imprese si sono ridimensionati. Aumenta poi il gender gap, per cui le donne continuano a non trovare lavoro così come i giovani, visto che il tasso di occupazione cresce solo per gli ultracinquantenni (+2%). Sono loro, i giovani, che per il 70% hanno bocciato la revisione costituzionale, i grandi esclusi. Il Jobs act e la Buona scuola non hanno portato i benefici annunciati. I Neet (Not engaged in education, employment or training), ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non cercano nemmeno un’occupazione, sono leggermente calati (dal 26,2% del 2014 al 25,7% del 2015) ma al Sud viaggiano a quota 35,3% rispetto al 18,4% del Nord. In questo scenario gli italiani risultano poco interessati alla partecipazione sociale, civica e politica: solo chi ha un titolo di istruzione superiore e la laurea, oppure fa l’imprenditore, il dirigente o il libero professionista è attivo (85,9%), mentre tra gli operai la media è del 58,7%. La sfiducia nei partiti e nelle istituzioni rimane sotto la sufficienza – quella nei partiti è del 2,5%, nel Parlamento 3,7 % – mentre oltre la sufficienza sono solo i Vigili del fuoco e le forze dell’ordine. Crisi sociale e crisi dei partiti vanno di pari passo.

La domanda di cambiamento

«Da 4-5 anni la sfiducia nei confronti dei partiti e delle forme di politiche istituzionali, è cresciuta rispetto a 10 o anche 20 anni fa», commenta Roberto Biorcio, docente di Scienza politica all’università Milano Bicocca e autore di saggi sulla realtà italiana (Il populismo nella politica italiana, Mimesis; Gli attivisti del Movimento 5 stelle, Franco Angeli, e, con Tommaso Vitale, Italia civile. Associazionismo, partecipazione politica, Donzelli). «Ma questa sfiducia non genera apatia o distacco – continua – e lo vediamo anche nella partecipazione, anche se non raggiunge gli standard europei, alle associazioni sociali o di volontariato». Negli ultimi anni, insieme alla crisi, è aumentata la domanda di cambiamento e l’adesione massiccia al voto referendario ne è una dimostrazione.

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