Il 10 gennaio, a un anno dalla scomparsa di Bowie, va in onda il docufilm prodotto dalla BBC che racconta la fucina creativa degli ultimi anni e l'inedita svolta jazz di David Bowie, complice la pianista e compositrice Maria Schneider

Andrà in onda il 10 gennaio in prima nazionale David Bowie: The Last Five Years il docufilm prodotto dalla BBC. I fans di Bowie, anche quelli che pensano di sapere proprio tutto di lui e della sua discografia, troveranno pane per i loro denti. Ma anche chi non l’ha mai ascoltato molto potrebbe trovare spunti seducenti. Perché – racconta questo nuovo film di Francis Whately – negli ultimi cinque anni, zitto, zitto, standosene lontano dai riflettori, nonostante problemi di salute,  David Bowie ha realizzato un sogno, creare un’opera totale, non solo rock, non solo teatro, non solo video, non solo musical, ma un progetto che fonde tutti questi elementi in un dittico: l’album Blackstar (potente e drammatico sequel di The next day , 2013) uscito per il suo 69esimo compleanno l’8 gennaio 2016  e il musical Lazarus. 

The Last Five Years ci fa entrare nella fucina creativa di Bowie anche attraverso le  testimonianze di musicisti  (storici collaboratori e nuovi talenti che aveva scoperto più di recente) che hanno partecipato attivamente al lavoro. Ne emerge un ritratto sfaccettato e toccante del polistrumentista, cantante, compositore, attore e pittore David Bowie, come artista a tutto tondo, sfiorando anche  questioni più intime e personali.

A raccontare l’uomo e l’artista David Robert Jones (David Bowie all’anagrafe della musica) qui sono personaggi come Tony Oursler, protagonista della scena dell’arte contemporanea con cui Bowie ha realizzato il video della canzone Where are we now. Mentre Oursler parla scorrono immagini del backstage di quel video realizzato nel 2013 in cui, defilato e silenzioso, si scorge Bowie: indossa una maglietta con la scritta Song for Norway:  tenero messaggio di addio per Hermione, la ragazza dei suoi vent’anni,  per la quale scrisse Letter for Hermione. Contenuto nell’album The next day, anche Where are we now, del resto, è un brano carico di nostalgia. Rievoca  un periodo successivo, gli anni berlinesi (1976-79), quando stanco della vita da rockstar intossicata, Bowie si trasferì in Germania cominciando a comporre musica sperimentale. Seppur con alterne fortune, stava cercando una strada diversa, nuova, rispetto alla narratività dei suoi precedenti dischi che l’avevano portato al successo. Voleva tentare un nuovo modo di comporre rinunciando alle sue molteplici maschere e a personaggi provocatori come gli indimenticabili Ziggy Stardust (1972) e Aladdin Sane (1973) o come Major Tom di Space oddity (1969)  che aveva segnato i suoi esordi (l’album all’inizio fu un flop!) e che ritroviamo ora  a quasi cinquant’anni di distanza fra i protagonisti del musical Lazarus, che ha debuttato il 17 dicembre 2016 poco prima che Bowie morisse il 10 gennaio 2016.

Due mesi prima, il 19 novembre 2016, invece, era uscito il dirompente video del brano Blackstar che mostrava  David Bowie su un letto con la faccia bendata e dei bottoni al posto degli occhi. Un’immagine inquietante intorno alla quale si dipanava però una avvolgente mini sinfonia in dieci minuti. Un video che è diventato immediatamente virale facendo 16 milioni e mezzo di visualiazzazioni. Drammaticamente visionario, come se Bowie avesse intuito che il suo tempo era scaduto. Quando l’ha concepito – rivela il regista del videoclip Johan Renck nel docufilm The last five years – in realtà, non sapeva ancora che la sua malattia gli lasciava pochi mesi di vita.  In questo ultimo lavoro l’austronata Major Tom,  diretto alter ego di Bowie in Space Oddity e poi in Ashes to Ashes, si trova sotto una stella nera, in uno scenario spettrale. Appare tremante, come i ragazzi intorno a lui, ma quel sussulto si trasforma in una danza. Come scrive Francesco Donadio nell’edizione aggiornata del suo  David Bowie, Fantastic voyage (Arcana, volume che raccoglie tutti i testi commentati delle canzoni di Bowie) ciò a cui stiamo assistendo è un rito tribale e fantastico, un cerimoniale funebre di una civiltà pre cristiana. L’irriverente Bowie non ha perso lucidità e ironia e si  fa beffa delle religioni rivelate. Con in mano una sorta di breviario con una stella nera, si traveste da imbroglione messanico per lanciare strali alla religione cristiana. Non sarebbe la prima volta, basta ricordare Loving the alien The next day, suggerisce Donadoni. Qui il predicatore interpretato da Bowie nel video di Lazarus chiede crudelmente ai moribondi di convertirsi e di dargli passaporti, scarpe e antidolorifici.

David Bowie in Berlin 2002

Quella di Renck (regista anche della serie The Last Panthers) è una delle tante voci che innervano il racconto di The Last five years, che sarà trasmesso  da VH1 (noi l’abbiamo visto in anteprima sulla BBC). Accanto alle poche intense parole del produttore Tony Visconti,  della bassista Gail Ann Dorsey  e di altri musicisti  della band che lo ha accompagnato dal vivo negli anni Novanta fino al 2004 ( quando Bowie è stato costretto a interrompere il tour per un infarto), compaiono gli interventi non meno toccanti di chi l’aveva conosciuto direttamente solo in occasione di questi suoi ultimi lavori. Come il regista del musical Lazarus Ivo Van Hoe e lo scrittore irlandese Edna Walsh ,coautore della sceneggiatura. Colpisce in particolare per spontaneità e freschezza il racconto della compositrice jazz Maria Schneider  alla quale Bowie si era rivolto per dare una inaspettata svolta jazz alla sua musica. «Il Jazz era qualcosa che era sempre rimasto sotterraneo nella musica di David, io non ho fatto altro che aiutarlo a far emergere quest’aspetto» , racconta la pianista e compositrice con la quale il musicista inglese aveva cominciato a collaborare nel 2015 per Sue or a season of crime.
I molti volti di David Bowie, anche auto ironico story teller :


Ed è stata ancora lei, Maria Schneider,  a fargli conoscere  il sassofonista Donny McCaslin  che insieme ad altri musicisti newyorkesi ha suonato in Blackstar facendolo diventare  un album rock suonato da musicisti jazz d’avanguardia. In poco tempo fra loro si era creato un rapporto artistico e umano fortissimo durante la registrazione del disco e poi del musical ispirato al libro di fantascienza L’uomo che cadde sulla terra di  Walter Trevis, lo stesso portato sul grande scherno da Nicolas Roeg nel 1976 in cui lui interpretava l’alieno Thomas Jerome Newton. L’album Blackstar che è stato fra i più venduti del 2016 è un concept album pieno di soluzioni innovative.  «Non sono una star del cinema né una star del pop. Sono una stella nera», dicono alcuni versi.  Ed è difficile credere a ciò che Bowie stesso afferma in uno spezzone di intervista di anni addietro recuperato dal regista di The last five years: «Non sono un pensatore originale, piuttosto sono un sintetizzatore, che reagisce a ciò che ha intorno, che riflette la società». E se questo può essere vero per dischi come This is not America  e brani come  I’m afraid of americans o Valentine’s day  dove, raccontava il volto malato dell’America e l’agghiacciante fenomeno dei mass murders, Blackstar sembra piuttosto voler aprire un  nuovo capitolo della propria musica tratteggiando una seducente mitopoiesi.

PICCOLA BIBLIOGRAFIA, le ultime uscite e nuove edizioni di classici su David Bowie:

Non pare del tutto un caso che sull’opera di David Bowie siano stati spesi fiumi d’inchiostro. Con una gran messe di libri pubblicati anche in italiano. A comiciare dal nonumentale Bowie di Nicholas Pegg, ( autore teatrale e giornalista) pubblicato da Arcana nel 2002 ( e in successive edizioni), in cui sono passati in rassegna  album, canzoni, film  video e quant’altro.  Per  chi vuole approfondire gli anni del romantico Ziggy Stardust c’è il libro di Luca Scarlini Zuggy stardust, la vera natura dei sogni  (ADD) . E ancora: ne offre una lettura filosofica Pierpaolo Martino nel saggio La filosofia di David Bowie, (Mimesis). Un ritratto a più mani scritto da personaggi del cinema, della musica della letteratura – da Michael Cunnigham a Franco Battiato – si può leggere nel libro  Rebels, appena pubblicato da La Nave di Teseo. Ma più di tutti consigliamo David Bowie Sono l’uomo delle stelle (Il Saggiatore), uscito in nuova edizione quest’anno, è una raccolta di interviste a David Bowie, realizzate lungo un arco di tempo che va dal 1969 al 2003, anno in cui  il polistrumentista, cantante, attore, disegnatore, collezionista  e cultore d’arte David Bowie ha cominciato a pensare che poteva anche starsene in silenzio e parlare solo attraverso la propria musica. Tradotto da Cristian Caira è il libro che permette un confronto diretto  senza filtri o intenti apologetici o letture con una tesi preconcetta. Si osserva passo passo la maturazione e la sempre maggiore consapevolezza da parte di Bowie riguardo all’importanza  della ricerca, prendendosi anche dei rischi, osando strade nuove, fuori dalle formule rodate, con tutte le incertezze del caso. Ma emerge fortissima anche la sua auto ironia , la voglia di vivere, di condividere, di  osare, sfidando i propri limiti. Qualche esempio?

Per qualche anno sono  stato l’equivalente maschile della bionda svampita e cominciavo a temere che la gente non si sarebbe mai accorta della mia musica” ( 1969 al New Musical Express).

Assimilo le cose molto rapidamente. e sono sempre stato dell’idea che non appena un sistema o un metodo di lavoro si rivela efficace, è superato. e io sento l’esigenza di passare ad altro“.  (1977  Melody Maker)

 ” Non ho mai considerato i miei lavori fantascientifici. E non ho mai pensato il mio lavoro futuristico, anzi ho sempre pensato di essere una figura molto contemporanea, legata al presente. Il rock è sempre indietro di dieci anni rispetto alle altre arti, ne raccoglie le briciole. Voglio dire che non ho fatto altro che servirmi di una tecnica che Burroughs aveva introdotto in letteratura diverso tempo prima” (1978.  Melody Maker)

 “Non mi piaceva per niente il genere di popolarità che avevo ottenuto con la mia roba disco soul, non ero contento del successo di massa che avevo raggiunto. Il genere di successo a cui ambisco, e di cui ho bisogno, è quello artistico e creativo. Non sono interessato ai numeri, non mi servono. Io voglio la qualità, non una carriera nel rock ‘n ‘roll. per sentirmi soddisfatto ho bisogno di offrire qualcosa di valore e quando ho l’impressione di arrancare mi sento a disagio e voglio solo voltare pagina”. (ibidem)

“c’è un elemento irrazionale nell’animo umano? (ride) Sì, penso che in tutti i  miei dischi ci sia qualcosa di irrazionale e in ognuno di essi c’è una certa combinazione elementi sbagliati nel posto sbagliato al momento giusto”.

 “Penso di avere anche io una spinta interiore, ma non riesco a definirla…. viene e va, si perde e riappare, non è come un fiume che incontri quando cammini per un bosco. E quando scompare mi arrabbio ( Qui si fa distante). E dovrei esserne felice, perchè è il corso naturale delle cose, ma quando scompare, quando si asciuga, quello è il momento più frustrante di tutti (1980, New Musical Express)

Cosa ci ha insegnato, alla fine, David Bowie? La BBC ha provato a stilare una sorta di decalogo:

  1. Belive in yourself
  2. Think outside the box
  3. have a sense of adventure
  4. take risks
  5. steal furiously
  6. stay in controll
  7. be suvversive
  8. keep everyone guessing

ma forse non è che l’inizio….