L'analisi di una scuola difficile che è stata accusata di essere inutile. Invece riconoscere il razzismo di Platone ci aiuta a comprendere l' oggi. Fino a mezzanotte 388 licei classici aperti in tutta Italia

Anche una canzone con tanto di video su YouTube celebra il liceo classico. E’ stata scritta da Francesco Rainero, 21 anni, ex studente del Galileo Galilei di Firenze. Il video si intitola Notte nazionale del Liceo classico e mostra le immagini delle bellezze dell’antichità classica mentre sfilano veloci sotto gli occhi senza alcuna nostalgia del passato, ma anzi vive e attuali. E’ un po’ lo spirito che anima, appunto, la notte nazionale del liceo classico che si svolge oggi dalle 18 alle 24 in 388 istituti italiani (qui l’elenco). Porte aperte con maratone di letture, spettacoli teatrali, concerti, proiezioni di film. L’iniziativa, promossa dal Miur, è nata da un’idea di Rocco Schembra, docente di Latino e Greco al liceo classico “Gulli e Pennisi” di Acireale (Catania). Per il quale  è una scuola “capace di trasmettere non anticaglie, ma il meglio della nostra storia con lo sguardo sempre vigile al presente e al futuro”.

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Quale istruzione, il dilemma

La notte del liceo classico la prendiamo come spunto per aprire una riflessione sulla natura dell’istruzione oggi. Il grande storico della pedagogia Mario Alighiero Manacorda aveva individuato due approcci possibili all’insegnamento. Partiamo dal metodo epistemologico o da quello antropologico? Cioè, in parole povere, partiamo dall’oggetto del sapere e cerchiamo di trovare il sistema per farlo apprendere o invece partiamo dal soggetto, cioè il bambino o il ragazzo e cerchiamo il metodo per avvicinarlo alla conoscenza, per fargli apprendere il gusto del sapere, per renderlo curioso, vitale, con l’interesse a conoscere? Domande complesse che mancano purtroppo nel dibattito attuale. La Buona scuola infatti ha “silenziato” qualsiasi ricerca di tipo didattico o epistemologico e non ha prodotto niente di nuovo. Dettagli tanti, aspetti parziali molti, magari spiegati in paginate di giornale: ora l’insegnamento in inglese, poi il fantastico ricorso al digitale, oppure la programmazione (il Coding)… Ma un’idea reale di scuola capace di far fronte alla complessità della società, del lavoro e dei rapporti familiari, proprio non si è vista.

Un sapere complesso

Invece una scuola che ha mantenuto un approccio “complesso” nei confronti del sapere – con tutte le eccezioni del caso, ovviamente – c’è ancora, ed è il liceo classico. Sempre di più nell’occhio del ciclone, negli ultimi anni, visto che è stato accusato di spacciare saperi “vecchi” che non servono per trovare lavoro, con quella cultura umanistica ormai considerata “retro’” rispetto alla rete, alla tecnologia, alla velocità, al tempo che fugge. Un tipo di scuola che viene scelta sempre meno dagli studenti italiani – l’anno scorso 6 su 100 si iscrivevano al classico-. Le critiche nell’epoca della rottamazione si sono fatte sentire. Che senso ha, per esempio, continuare a tradurre dal latino e dal greco?

La querelle sulle traduzioni dal latino e dal greco

Se l’era chiesto il professor Maurizio Bettini, filologo e latinista dell’Università di Siena. Su Repubblica (“Quelle inutili anzi dannose traduzioni greche e latine, del 5 marzo 2015), aveva scritto della necessità, all’esame di maturità, di “allargare” la traduzione al suo contesto, e quindi di non fermarsi alle parole da tradurre ma approfondire con lo studente la cultura, la filosofia e la storia del tempo dell’autore tradotto. Anche l’ex ministro Luigi Berlinguer si era mostrato favorevole all’ipotesi. Da questi interventi era nata una petizione su Change.org che però non ha riscosso tanto successo (poche centinaia le firme). Solo che da lì è partita, è il caso di dire, una vera campagna di delegittimazione del liceo classico. Come del resto ciclicamente scatta nei confronti delle facoltà umanistiche accusate di essere inutili, come ha fatto, sempre nel 2015, Stefano Feltri con i suoi articoli sul Fatto quotidiano.

Liceo classico no, liceo classico sì

Addirittura dagli Usa, l’economista Michele Boldrin, leader del movimento Fare per fermare il declino (per un anno, dal 2013 al 2014) aveva lanciato lo slogan “Aboliamo il liceo classico!”. La reazione stavolta però e’ stata immediata: una lettera-appello firmata da 15mila persone e’ stata indirizzata al presidente della Repubblica Mattarella e all’allora ministro dell’Istruzione Giannini. Nel testo, si legge una citazione da Luca Cavalli Sforza sul fatto che la traduzione dal latino e dal greco rappresenta un’attività «più vicina alla ricerca scientifica cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto». La lettera-appello promossa dalla Task force per il liceo classico, viene firmata anche dal sociologo Luca Ricolfi il quale sul Sole 24 ore del 16 ottobre 2016 spiega perché l’ha fatto, lui così restìo alle petizioni pubbliche. Ricolfi scrive che dietro all’ipotesi di abolire la traduzione dal latino e dal greco non c’è tanto la voglia di spazzar via la cultura classica quanto invece eliminare «l’ultimo compito davvero difficile della scuola secondaria superiore».

L’importanza della scuola difficile

Perché, sostiene Ricolfi, il quale è anche professore universitario e quindi ha modo di verificare la preparazione delle nuove generazioni, «la domanda degli studenti e delle loro famiglie non è di alzare l’asticella, ma di abbassarla sempre più, come in effetti diligentemente facciamo da almeno quattro decenni». E le conoscenze che sembrano spaventare sono, secondo Ricolfi, «la capacità di astrazione e concentrazione, padronanza della lingua, finezza e distinzione delle sensibilità, capacità di prendere appunti e di organizzare la conoscenza».Ora c’è da dire che lo svuotamento della scuola superiore della complessità del sapere comincia da lontano, non è un fenomeno dell’oggi.

Il declino dell’istruzione

Tullio De Mauro, il grande linguista scomparso da pochi giorni la faceva risalire agli anni 70 quando l’afflusso eccezionale alle scuole superiori non venne adeguatamente preparato. Ma un altro gap secondo il professore è stato causato dall’assenza cronica di una cultura di base, per questo si batteva per una educazione permanente degli adulti. Negli ultimi decenni, la semplificazione, la formazione finalizzata al lavoro, il taglio di ore e di materie, l’esaltazione fine a se stessa delle famose tre I berlusconiane, – Inglese, informatica e impresa – sono le correnti nefaste che attraversano la scuola pubblica senza vivificarla, anzi. La affossano ancora di più insieme alla valorizzazione delle scuole private e al dilagare delle disuguaglianze tra Nord e Sud. Insieme anche all’estensione della valutazione standard – come le prove Invalsi – che snatura la complessità e la variabilità dell’apprendimento e la relazione, fondamentale in questo, tra insegnante e allievo. E al tempo stesso la formazione e l’identità professionale dei docenti hanno ricevuto attacchi costanti in questi anni di tagli.

Eccoci dunque all’oggi

Una cultura come quella classica, lo studio di Atene e Roma, la filosofia e la storia, possono contribuire a creare un cittadino consapevole, dotato di senso critico, capace di cogliere le “bufale” e non solo quelle del web? Forse sì. Anche se è chiaro, come sempre a scuola, che ciò dipende da tanti fattori, contano la relazione con l’insegnante, l’ambiente, la classe, le condizioni di vita familiare. Infine, il liceo classico non dovrebbe essere una scuola d’élite ma aperta a tutte le classi sociali. Per questo andrebbe spezzata quella catena che vincola i più poveri a studi professionali o tecnici. Senza alcun disprezzo per l’attività manuale, sia ben chiaro, solo occorrerebbe una condizione di uguaglianza di partenza, per tutti. Ma questo è un altro problema. Che non si poneva del resto nemmeno Platone con la sua Repubblica razzista e classista. Ma, ecco, vedete, quanto sia importante conoscere il pensiero di Platone per comprendere tanti atteggiamenti e fenomeni politici di oggi…Se si riconoscono, non si accettano acriticamente e si rifiutano.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.