Tremila ospiti, cinquanta leader e la preoccupazione che la globalizzazione sia in ritirata perché troppo poco solidale. Ormai lo dicono tutti

Tre giorni, circa 3mila invitati – che solo così si entra – e membri che pagano 585mila dollari l’anno per far parte del club della élite mondiale che si riunisce una volta l’anno sulle alpi svizzere di Davos. L’appuntamento del World Economic Forum 2017 ha come titolo “Leadership responsabile ed efficiente” ed è interessante che il primo ospite sia Xi Jinping, il presidente cinese e che partecipa per la prima volta al Forum e che è presente con una folta delegazione commerciale. Tra gli altri ci sono anche Theresa May, che dovrà in qualche modo rassicurare i giganti della finanza sulla sua Brexit (oggi a Londra presenterà il suo piano, solo poi sarà in Svizzera), Joe Biden, che saluta presenta la sua campagna per la ricerca anti cancro, Bill Gates, Matt Damon e mille altri. Nei panel c’è una forte presenza di donne, molto meno tra gli ospiti. Segno che nelle grandi imprese – che la gran parte degli ospiti sono investitori e amministratori delegati – i piani alti sono ancora forti le discriminazioni.

A Davos ci sono investitori e clienti, leader e giornalisti e tutti si interrogano, nel lusso di una stazione sciistica, su dove stia andando il mondo. Si tratta di un club esclusivo che per anni è stato l’oggetto della protesta dei movimenti globali contro la globalizzazione e che, da qualche tempo a questa parte mette l’accento sui grandi problemi del pianeta in maniera più critica – una caratteristica in comune con diverse altre istituzioni transnazionali che hanno spinto la globalizzazione così come la conosciamo per poi scoprirne i difetti. Negli ultimi anni si è parlato di cambiamento climatico e di quarta rivoluzione industriale – i robot.

Se le tendenze di lungo periodo, gli scenari, sono una forza di Davos, le previsioni a breve termine non sembrano esserlo: lo scorso anno il tema non era la crescita delle forze politiche populiste. Eppure, nella conferenza stampa di apertura, il fondatore del club, Klaus Schwab ha sentito il bisogno di citare se stesso in un articolo di 21 anni fa per dire che la globalizzazione non può essere solo a vantaggio di alcuni e che. altrimenti, ci sono pericoli per la tenuta del sistema democratico. «Senza progresso sociale e responsabilità non c’è futuro. È nostro scopo originario connettere la responsabilità con la crescita. E speriamo che il mondo ascolti il nostro messaggio e per questo abbiamo parlato di leadership efficace e capace di ascoltare», ha detto Schwab.

Il meeting si articola su 4 piani: rilanciare la crescita economica mondiale, assicurare una maggiore capacità di inclusione del mercato capitalistico – «senza solidarietà tra perdenti e vincenti il sistema non si tiene» – il terzo pilastro è la quarta rivoluzione industriale, la reinvenzione delle corporations globali «forse il più importante di tutti». Le corporations, ci fanno insomma sapere che è giunta l’ora di ripensare il proprio modello di business.

Vedremo e capiremo cosa vuol dire in questi quattro giorni. Certo è che la globalizzazione è in gran ritirata e che al World Economic Forum, che difende l’idea della globalizzazione e teme la ritirata dell’economia dei confini nazionali, prova a ripensarsi. L’invito a Xi Jinping, che con un’economia pensata per l’esportazione, teme la chiusura delle frontiere tanto molto più di Schwab e per certo teme la presidenza Trump, è un segnale di come gli equilibri del 2017  siano già mutati.

La diretta dei panel più importanti