Stefano Cucchi fu ucciso a botte dai carabinieri che lo avevano in custodia. «Calci, pugni, schiaffi»: pestato a sangue, tanto da provocargli la morte sei giorni dopo in ospedale. Dopo otto anni, la procura di Roma chiude l’inchiesta bis sulla morte del giovane e riconosce ai tre militari l’omicidio preterintenzionale. 

Stefano Cucchi fu ucciso a botte dai carabinieri che lo avevano in custodia. «Calci, pugni, schiaffi»: pestato a sangue, tanto da provocargli la morte sei giorni dopo in ospedale (il 22 ottobre del 2009).
Dopo otto anni, la procura di Roma chiude l’inchiesta bis sulla morte del giovane (aperta nel 2014) e riconosce ai tre militari che lo arrestarono – Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco – l’omicidio preterintenzionale. Una verità tanto, troppo attesa quanto nota. Che ribalta l’ipotesi della morte per epilessia, ritenuta dall’accusa del tutto infondata, stabilendo un nesso di causa-effetto tra le percosse e il decesso di Stefano. Obiettivo di questo secondo filone d’inchiesta, che aveva proprio il compito di rivalutare il “quadro di lesività” sul corpo della vittima.

Per i pm, il procuratore Giuseppe Pignatone e il sostituto Giovanni Musarò, infatti, le botte e «la rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale» che ne conseguì, provocarono al giovane «lesioni personali che […] nel caso in specie, unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte».

Inoltre, per aver sottoposto Cucchi «a misure di rigore non consentite dalla legge», ai tre accusati è contestata anche l’abuso di autorità, con «l’aggravante di aver commesso il fatto per futili motivi, riconducibili alla resistenza di Cucchi al momento del foto-segnalamento». Chiusa l’indagine, si attende il rinvio a giudizio.

Calunnia e falso invece per gli altri due carabinieri coinvolti, il comandante Roberto Mandolini e il militare dell’Arma Vincenzo Nicolardi.
Finora, le sentenze avevano visto una serie di assoluzioni. Per i medici e infermieri che lavoravano al Pertini, così come per gli agenti penitenziari, nonostante per l’accusa fosse stato «torturato come Giulio Regeni».

Commovente la reazione della sorella di Cucchi, Ilaria. «Voglio dire a tutti che bisogna resistere, resistere, resistere. Ed avere fiducia nella giustizia», scrive, pubblicando una foto in cui abbraccia l’avvocato Fabio Anselmi, che ringrazia.

«Non lo so come sarà la strada che ci aspetta d’ora in avanti, sicuramente si parlerà finalmente della verità, ovvero di omicidio», è il commento di Ilaria Cucchi. «Ci gettiamo alle spalle sette anni durissimi, di dolore, di sacrifici, di tante lacrime amare. Ma valeva la pena continuare a crederci».

Impicciarsi di come funzionano le cose, è più forte di lei. Sarà per questo - o forse per l'insanabile e irrispettosa irriverenza - che da piccola la chiamavano “bertuccia”. Dal Fatto Quotidiano, passando per Narcomafie, Linkiesta, Lettera43 e l'Espresso, approda a Left. Dove si occupa di quelle cose pallosissime che, con suo estremo entusiasmo invece, le sbolognano sempre: inchieste e mafia. E grillini, grillini, grillini. Dalla sua amata Emilia-Romagna, torna mestamente a Roma, dove attualmente vive.